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Il compleanno

Sara Simeoni, i 70 anni della regina che chiese di saltare a modo suo

Sara Simeoni, i 70 anni della regina che chiese di saltare a modo suo

di Giorgio Lo Giudice

19 Aprile 2023, 03:01

L’età di una signora è sempre segreta e va rispettata. Ma stavolta con un atto di somma maleducazione e ce ne scusiamo, tradiamo la morale comune per porgere a Sara Simeoni i migliori auguri per i suoi 70 anni. Questo ci rende colpevoli di divulgazione di un segreto, pazienza, speriamo che con la grande bontà che ha sempre dimostrato, anche stavolta Sara ci possa perdonare.

Gli auguri sono d’obbligo per quella che è stata atleta del secolo, campionessa olimpica e campionessa europea al coperto ed all’aperto, vincitrice dei Giochi del Mediterraneo e delle Universiadi e scusate, di passaggio anche primatista mondiale, la prima ad andare oltre i due metri, due volte a 2,01. Mai campionessa del mondo purtroppo. Ma non per sua colpa, bensì di Primo Nebiolo che aveva inventato i campionati del mondo ma un po’ in ritardo rispetto alla carriera di Sara e quando lo ha fatto nel 1983, la nostra campionessa per un grave infortunio, in buona compagnia di Juantorena e della Decker anche loro colpiti dal fulmine della sfortuna, fu costretta a rinunciare. Successivamente Sara ne aveva avuto abbastanza di battaglie su tutte le pedane dei cinque continenti, di allenamenti, sacrifici e viaggi.

Così nella tranquillità della Sardegna nel 1986, disputò la sua ultima gara, fece il suo ultimo pianto di commozione ed appese le scarpette al fatidico chiodo. Lo fece come è abitudine di Sara, in maniera tranquilla e pacata. Alla domanda di un cronista sardo se questa fosse l’ultima gara della stagione per preparare il futuro, rispose tranquilla: «Penso che sarà l’ultima gara in assoluto, non programmo niente per il futuro se non la mia vita privata, dopo Cagliari non salterò più». Troppi malanni, troppi dolori da sopportare uniti a venti anni di onorata carriera. Aveva stabilito di mettere su famiglia e così ha fatto. Ci è riuscita al meglio perché la sua metà per la vita si chiama Erminio Azzaro. Si dice che a fianco di un grande uomo c’è sempre una grande donna. Giusto, ma riteniamo valido anche il contrario. Erminio, oltre che un atleta di grande valore, primatista italiano dell’alto, è stato la persona giusta a fianco di Sara. Confidente, poi fidanzato quindi allenatore su sua precisa richiesta: «O mi alleni tu, oppure smetto» ed alla fine marito.

Dato ad Erminio quello che gli appartiene, torniamo a Sara. Le sue cifre statistiche sono impressionanti; al netto di qualche errore se andate su Google ne potrete trovare tante, fredde ma sincere. Date, località, avversarie. Ma ciascuna di quelle date, di quei luoghi hanno una storia e quella se permettete non la trovate da nessuna parte a meno che non sia lei stessa o chi le è stato vicino a raccontarle. Ho conosciuto Sara quando aveva sedici anni. Un incontro simpatico con una ragazzina timida, alta, magrolina, tranquilla, sempre pronta al sorriso. Era il 1968, raduno di Rieti per giovani atlete che promettevano di diventare campionesse in futuro. Finì per imparare poco o niente di tecnica, si insegnava ancora lo scavalcamento ventrale, e quando nella gara di fine corso rischiò di fermarsi ad 1,35 alla terza prova chiese timidamente: «Posso saltare a modo mio?» e visto che non c’era nulla da perdere la risposta fu un si un po’ stizzito. Per tutta risposta Sara salì ad 1,55 miglior prestazione italiana allieve. La stagione successiva vinse il titolo italiano di categoria sia di alto che di triathlon. Era nata una stella. «Ricordo quei tempi – dice Sara –: un fare l’atletica senza affanni e senza pressioni, bella e divertente, mi sono innamorata di quel mondo e per tanti anni è stato il mio motivo di vita. Molte soddisfazioni ma anche altrettanti sacrifici. Alla fine ne è valsa la pena». Ma quale è il podio della sua carriera? Le tre gare più care e che l’hanno maggiormente entusiasmata? «Lascio fuori il record del mondo a Brescia – spiega Sara –: quella è stata una sfida con me stessa più che una gara, perché ad 1,88 ero rimasta sola e poi non c’erano avversarie straniere contro le quali confrontarmi. Bene, credo che il primo posto in assoluto sia l’Europeo di Praga. Non mancava nessuna avversaria, dalle tedesche alle polacche, ceche e rumene che erano ai primi posti della classifica stagionale. In pratica era un mondiale, forse mancava solo la Brill. Una battaglia senza esclusione di colpi fino all’ultimo respiro con la Ackermann, nel freddo, pioggia e vento, chiusa nel mio sacco a pelo ed Erminio che mi mandava segnali da lontano. Tra l’altro è stata la vittoria eguagliando il mio record mondiale stavolta davanti ad un gran pubblico ed alla tv. Mosca arriva dopo, ero favorita ed ho rispettato il pronostico. C’era ovviamente la tensione della gara che era la più importante della carriera, ma anche la mia sicurezza e determinazione. Quasi alla pari l’argento olimpico di Los Angeles perché è stata una gara da miracolata, quattro mesi prima non pensavo nemmeno di poter andare ai Giochi, ci riesco in extremis e salto due metri, ad un centimetro dal mio personale, rischiando anche di vincere».

Resta da chiedere che anniversario sarà: «Molto tranquillo, lo passeremo in famiglia niente di eclatante solo le poche persone più intime, anche perché Erminio è ancora influenzato ed è meglio essere prudenti».

Giorgio Lo Giudice

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