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L'intervista

Giulia Ghiretti: «Io ora in Polizia, finalmente come tutti gli altri»

Giulia Ghiretti: «Io ora in Polizia, finalmente come tutti gli altri»

di Andrea Del Bue

29 Aprile 2023, 03:01

Da poco più di un anno c’è la legge, ora sono iniziati i concorsi e avviate le assunzioni: gli atleti paralimpici di alto livello sono finalmente equiparati agli atleti olimpici, entrando a pieno titolo nei Gruppi sportivi militari e dei Corpi civili dello Stato. Ne parliamo con Giulia Ghiretti, campionessa parmigiana di nuoto paralimpico, ventitré medaglie internazionali tra Europei, Mondiali e Paralimpiadi, un titolo iridato nei 100 rana Sb4 da difendere, come il record del mondo nei 50 farfalla S5 in vasca corta. Ora è arruolata in Polizia, nel gruppo sportivo Fiamme Oro.

Possiamo chiamarla poliziotta?

«In effetti sì (sorride, ndr). Però non ho la pistola. Tutti i paralimpici vengono assunti con un ruolo tecnico. Solo in Polizia di Stato siamo in quattordici, ma questa svolta riguarda anche tutti gli altri Corpi: Esercito, Stato Maggiore della Difesa, Marina Militare, Aeronautica Militare, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria e Vigili del Fuoco. Abbiamo superato il concorso, basato sul curriculum sportivo. Ora siamo in Polizia, a tutti gli effetti».

Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico, l’ha definita «una svolta epocale».

«È così. Si tratta di un provvedimento che finalmente ci vede equiparati a tutti gli altri atleti. Pancalli ha avuto un ruolo fondamentale: è stata una delle sue più importanti battaglie. Senza dimenticare Giusy Versace, già atleta paralimpica, poi parlamentare, prima firmataria della proposta di legge. Finalmente la nostra attività viene riconosciuta come un lavoro. È una questione di dignità. Due allenamenti al giorno, palestra, continui spostamenti e viaggi: non è possibile lavorare o costruirsi una carriera in questi anni. Eppure, rappresentiamo l’Italia, e vinciamo. È giusto che un atleta abbia la possibilità di arruolarsi, indipendentemente dal fatto che abbia una disabilità o meno».

Cosa cambia, in concreto?

«Tanto, sia su un piano pratico, sia a livello culturale».

Iniziamo da quest’ultimo aspetto.

«Prima di questa legge, di fatto, noi atleti paralimpici eravamo discriminati. Stesse manifestazioni, stesse fatiche, stesse rinunce, tutto uguale ai colleghi olimpici, o normodotati, per capirsi. Ma niente stipendio. Io, per esempio, avevo con la Polizia una sorta di collaborazione: indossavo la divisa delle Fiamme Oro, in treno mi scambiavano per una poliziotta benché ancora non lo fossi, ma quel treno me lo pagavo io. Ora lavoro in Polizia e se mi sposto sono in missione. Oggi il mio lavoro è fare nuoto a livello internazionale, domani si vedrà. Insomma: perché Tamberi, Jacobs e Paltrinieri dovevano essere assunti, mentre io, Simone Barlaam o Bebe Vio, no? Oggi siamo tutti Fiamme Oro, atleti in carriera, senza distinzioni».

E su un piano culturale?

«Questa legge dice una cosa: lo sport è uno solo, punto. Le categorie ci sono sempre state: c’è il torneo maschile, c’è il torneo femminile. Bene, c’è anche quello paralimpico, ma cosa cambia? Lo sport è uno solo, anche la distinzione tra Olimpiadi e Paralimpiadi comincia a stare stretta. Sogniamo un’Olimpiade per tutti, con le varie categorie, in base al genere e in base alle abilità residue. Come ora, ma tutti assieme. Prima o poi sarà così. Ora siamo nel bel mezzo del guado».

Cosa significa? C’è ancora molto da fare?

«Spesso mi chiedono se io e altri atleti ci sentiamo un po’ pionieri. In passato esitavo a pensarlo, ma sempre di più mi accorgo che in questo periodo si stanno abbattendo tanti muri, come quello di cui stiamo parlando oggi. Si è aperta una strada, con una certa fatica. Ora bisogna saperla percorrere».

Cosa vede dopo lo sport?

«La sfida è proprio questa. Finché siamo in carriera, è tutto facile. Poi si dovrà trovare il lavoro adeguato a persone con disabilità nei Corpi militari o civili dello Stato. Sono convinta che si possa e si debba fare, ma ci vuole l’impegno di tutti. Parlo in generale, ovviamente, non tanto per me: sto studiando per prendere la specialistica in Ingegneria Biomedica, vedremo».

L’arruolamento potrà avere riflessi positivi sui risultati sportivi?

«Sicuramente. Non li quantificherei in centesimi, ma sapere che oggi quello che faccio ha la dignità del lavoro dà indubbiamente una certa serenità e la serenità conta molto quando si preparano certi appuntamenti. Poi immagino ai giovani, che possono investire sullo sport con una prospettiva completamente diversa da quella che ho avuto io agli esordi. L’ambizione di entrare a far parte di un Gruppo sportivo dello Stato può aiutare a fare certe scelte, quindi a portare più ragazze e ragazzi con disabilità a fare sport. Certo, poi ci vogliono risultati importanti, ma per ottenerli bisogna comunque iniziare da qualche parte».

A proposito, i Mondiali si avvicinano. Cosa si aspetta da Manchester, ad agosto, quando dovrà difendere il titolo nei 100 rana?

«È presto per dirlo. Certo è che con Matteo (Poli, l’allenatore, ndr) sto facendo un lavoro in cui mi riconosco molto. Stiamo sperimentando e curando i dettagli».

Andrea Del Bue

© Riproduzione riservata

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