TRIBUNALE
Aveva fretta di chiudere. E nemmeno quei 350mila euro che avrebbe dovuto sborsare erano un problema. Nessuna trattativa estenuante per quegli immobili fatiscenti vicino al Parma & Congressi, tanto che al proprietario, un noto professionista della città, sembrava veramente essere arrivato il momento in cui avrebbe potuto liberarsene. Peccato, però, che l'8 maggio 2018, giorno fissato davanti al notaio per il preliminare, il potenziale acquirente, farfugliando vaghe spiegazioni, aveva fatto presente che l'atto sarebbe stato sottoscritto dalla moglie. Nome «noto», perlomeno all'autorità giudiziaria di Gela, come aveva poi potuto constatare il venditore insieme al suo legale facendo qualche semplice ricerca online. Ma ancora più «noto» è il nome del marito della donna, il potenziale acquirente che nel giro di poco tempo avrebbe voluto - a suo dire - acquisire altri terreni lì attorno e trasformare tutta l'area in un grande parco divertimento: 60 anni, originario di Gela, ma da tempo residente in città, è stato coinvolto in una maxi frode fiscale tra la Sicilia e l'Emilia ed è finito sotto processo anche a Parma per altre questioni. Lui, l'acquirente dai grandi progetti, che nei giorni scorsi è stato condannato a 6 mesi dal giudice Giuseppe Monaco per sostituzione di persona.
Eppure, era stato così convincente fin dal primo incontro. Si era presentato come un imprenditore del settore immobiliare che avrebbe voluto dare vita a un'ambiziosa lottizzazione acquistando anche altre aree vicine per svariati milioni. Da anni il professionista avrebbe voluto vendere quei terreni e fabbricati, che però avrebbero potuto rinascere a nuova vita. E l'imprenditore sembrava avere tutte le carte in regola per candidarsi. Fino alla scoperta della vera identità. E alla decisione, a quel punto, di far saltare la vendita.
Ma il nome vero del 60enne siciliano - e soprattutto le indagini in cui era coinvolto - hanno spinto il professionista, assistito dall'avvocato Daniele Carra, a presentare un esposto in procura: non solo perché si indagasse su eventuali reati commessi, ma anche per non rischiare di finire lui stesso sotto inchiesta, ad esempio per riciclaggio. «E' incappato in questa situazione, ma la sua buona fede è stata acclarata - sottolinea il difensore -. Si tratta di una vicenda paradigmatica dell'attenzione che bisogna avere nella conclusione dei contratti».
Nonostante abbia preso subito tute le contromisure, tuttavia il professionista è stato querelato dalla moglie del 60enne (denuncia poi finita con un'archiviazione) e ha avuto inizialmente qualche grattacapo perché in quell'area di sua proprietà erano stati gettati pezzi di eternit da parte del finto imprenditore, che poi è stato condannato in primo grado. Ma soprattutto il professionista deve ancora far fronte a una causa civile - che dovrebbe chiudersi entro l'anno - per poter disporre dei suoi immobili «congelati» dopo lo stop alla vendita. Eppure, era stato lui ad essere ingannato.
Georgia Azzali
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