Intervista
Dopo una pausa dai concerti lunga più di tre anni, domani alle 21.30 gli Hidden Parts tornano a suonare: in un locale della propria città (il Borgo Santa Brigida 5/A) e con un disco nuovo, «Bite the bat» realizzato nel periodo di lockdown e di assenza dai palchi e pubblicato da poco per l’etichetta AltRock Records. La band è formata da Alex Fornari alla voce, Gregorio Ferrarese alla batteria, Bernard Boggia al basso, Lelio Padovani alla chitarra e Giorgio Cantadori che oltre a suonare le percussioni è autore delle basi con Andrea Azzali; è con lui che parliamo di questo concerto e del disco, nato per la volontà di esplorare e scoprire territori musicali inusuali.
Partiamo dal disco, che ha dinamiche e ritmiche difficili da incasellare all’interno di una singola definizione; come è nato?
«Prima degli Hidden Parts c’erano i Parts, che negli anni ‘90 suonavano cose molto strumentali di natura elettronica e industriale. Qui abbiamo cercato di mettere in risalto gli strumenti e i musicisti. L’idea del primo disco era fare emergere principalmente la sezione ritmica, nel secondo abbiamo utilizzato materiale improvvisato e successivamente assemblato. Questa volta abbiamo lavorato sulle basi: durante il lockdown non ci potevamo vedere così io e Andrea Azzali abbiamo creato questi fondali musicali piuttosto complessi e su quelli tutti hanno improvvisato la loro parte. Nulla è stato scritto prima, tutto è suonato come reazione alle basi che avevamo prodotto».
Si può dire che il vostro sia un rock di impostazione jazzistica?
«Sì, perché il nostro è un rock d’improvvisazione. Ci piace mischiare i generi, c’è del rock, del free jazz e anche del rap. Le influenze sono tante ma non c’è niente composto a tavolino, sono uscite cose anche molto elaborate ma tutte sempre improvvisate».
Avete dato indicazioni ai musicisti o sono stati liberi?
«Il mandato che abbiamo dato loro era di tirar fuori da loro stessi il meglio che potevano. Ognuno ha grande libertà e nessuno segue un tracciato preciso, tutto nasce dalla reazione che i musicisti hanno suonando sulle basi, sia a livello musicale che testuale. Tutto si basa sull’esperienza di ciascuno»
.Questa immediatezza vale anche per i testi, che a volte passano dall’inglese all’italiano nella stessa canzone?
«Sì, a volte si lavora su temi già definiti ma spesso nasce tutto improvvisato in studio. Il nostro cantante ha uno stile molto particolare, quasi declamato. Le canzoni non sono cantate e non hanno le cadenze tipiche del rap, ma hanno tante influenze. Sembrano poesie declamate sopra il tappeto sonoro steso dalla musica».
Come sarà questo concerto?
«Sarà molto energico. I musicisti non si limitano ad accompagnare ma suonano tutti e tutti hanno grandi qualità solistiche. Anche noi siamo curiosi di vedere come andrà l’esibizione. Presentiamo tutto l’ultimo disco più alcuni brani dei dischi precedenti. Una particolarità è che il Santa Brigida ha l’impianto di diffusione a soffitto, tipico delle discoteche. La nostra intenzione, con l’aiuto di fonici che verranno appositamente per equilibrare perfettamente i suoni, è di far uscire da lì le basi mentre la musica che suoniamo noi uscirà frontalmente come di consueto. Questo creerà una separazione dei suoni e situazione d’ascolto unica e particolare, molto sperimentale».
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