IL LIBRO
Che giornata terribile deve essere stata il 18 giugno del 1939 per il commissario Ottavio Molinari. Ore frenetiche. L'agente della Regia Questura, e membro dell'Ovra (la polizia politica fascista), ha dovuto organizzare la solita retata di noti antifascisti che dovevano essere tolti dalla circolazione prima della visita a Parma di Benito Mussolini, poi ha dovuto raccogliere informazioni e confidenze per sapere se qualcuno avesse in mente di fare un attentato al Duce, infine confrontarsi con la squadra di scorta al capo del fascismo. Ma anche se Benito è in arrivo a Parma, Molinari trova il tempo di interrogare Bice Carrara nel carcere di San Francesco.
E chi è questa donna capace di far interrompere i preparativi per la visita di Mussolini? Che cosa si devono dire di così urgente da non poter aspettare il passaggio del Duce in città? La politica, la lotta antifascista non centra nulla. I veri motivi di quella visita così insolita sono nel libro «Maritza. I misteriosi delitti della chiromante», scritto da Gian Guido Zurli ed Edoardo Fregoso con i contributi di Raffaella Sette ed Elisabetta Venturi Alvino. Un libro che squarcia il velo su una storia che Parma ha dimenticato, per la censura fascista (che faceva di tutto per celare la cronaca nera) e un po' perché, nel dopoguerra, si fonderà al clamoroso caso della «Saponificatrice» di Correggio, Leonarda Cianciulli, rea di avere ucciso tre donne con la soda caustica.
Gli autori del libro, che hanno letto migliaia di atti degli archivi storici di tribunali, questure e medicine legali, riletto i quotidiani di allora e sentito anche gli ultimi testimoni, hanno invece, per la prima volta, sbrogliato i nodi che confondevano, nel sentire comune, le storie di Maritza e della Saponificratice regalando uno spaccato di Parma, ben altro che una città dove governava l'ordine e il rigore in camicia nera.
Bice Carrara nasce a Parma il 2 novembre del 1896, destino segnato per una che nasce il giorno dei morti. Con il padre, uomo violento, vivrà solo sette mesi per poi diventare tutt'uno con mamma Gemma. Apostrofata come «leggerina e capricciosa», Bice cresce e, a detta di molti, diventa bellissima. A 17 anni si esibisce come attrice e cantante al teatro Reinach e, con il benestare della mamma, ormai esasperata dalle continue richieste di denaro, va a convivere con un certo Giulio Bonvecchiato che lei, mentendo, dirà sempre di avere sposato. Nel 1905 la prima condanna a dodici giorni di carcere per un cappellino a veletta mai pagato alla modista, poi lentamente, ma inesorabilmente, la discesa nel baratro.
Prima, sempre più assetata di soldi, finisce ad «intrattenere» i clienti in due case di tolleranza che la madre gestisce a Parma e Reggio Emilia, poi si esibisce in alcune operette assieme al nuovo compagno, e questa volta marito per davvero, tal Giuseppe La Terza dedito al gioco e alla cocaina, e, infine, la svolta della vita, si inventa chiromante. Bice diventa così Maritza, nome esotico di origine zigana che la donna avrebbe scelto durante le sue frequentazioni artistiche, ed impara l'arte della lettura della mano e dei tarocchi. «Da vera attrice consumata - si legge nel libro - si perfezionò nella parte, studiando le frasi adatte e costruendosi uno sguardo magnetico al fine di impressionare i clienti». Il successo è immediato. Al suo tavolo si presentano tutti, dai più poveri ai grandi personaggi della città e del fascismo. Legge il futuro ai commissari di polizia e alle mogli dei notabili, organizza sedute spiritiche pure con dei sacerdoti e, fra una carta e l'altra, carpisce segreti e tradimenti. Quei legami inconfessabili prima la salveranno dal carcere, poi la condanneranno a morte.
Il suo nome entra infatti più volte nei fascicoli della magistratura e della polizia segreta fascista. Ad esempio è testimone d'accusa per il delitto di un tipografo di simpatie socialiste, freddato con quattro colpi di pistola al volto. In aula, alla fine, aiuterà l'imputato, componente di una squadraccia fascista, a farla franca. Poi appare nella vicenda della «sartina» dei Capannoni Teresa Bisi Paradisi, ritrovata senza vita a poca distanza dal ponte della Navetta (i capri espiatori saranno alcuni parenti della donna) e infine in quella di Gemma Pagani, uccisa da un uomo che la Carrara, leggendole la mano, aveva indicato come sicuro spasimante.
Ma la «Contessa Maritza» non si ferma qui. A Zara, di fronte al tribunale della città dalmata (allora italiana) spara due colpi di pistola a bruciapelo, senza ucciderlo. al marito, che nel frattempo l'aveva piantata in asso fuggendo al di là dell'Adriatico. Al processo se la caverà perché dichiarata incapace di intendere e di volere.
Il peggio deve ancora venire. Dopo aver vagato per l'Italia con i suoi tarocchi, finendo pure su diversi giornali che lodano le sua capacità divinatorie, ritorna a Parma nella sua casa di borgo Pipa 10 e poco dopo viene ritrovato un feto mummificato sotto il ponte della ferrovia sulla Parma (e diversi indizi portano alla Carrara che avrebbe più volte organizzato aborti clandestini coinvolgendo stimati ginecologi). Infine, il 18 giugno del 1939, nella sua casa, spunta il corpo senza vita della figlia adottiva di 11 anni, Rosaria Orsi, uccisa con il monossido di carbonio. Mentre gli inquirenti fanno i rilievi, e arrestano il suo complice Riccardo Chierici, spuntano nel bagno di casa, dietro una parete, tre piccole nicchie dove è stato murato a pezzi il corpo di Carmen Bertoni, governante della Carrara, complice delle sedute di chiromanzia con i notabili vicini al regime.
È troppo anche per quella Parma fascista dove la cronaca nera è relegata in un trafiletto a pie' pagina. Bice Carrara finisce a processo. Ma alla prima udienza in aula non si presenterà. La mattina del 2 giugno del 1941 viene trovata impiccata nella sua cella in San Francesco. Per la giustizia è un suicidio, per gli autori di «Maritza» è tutta un'altra storia. Bice Carrara, il giorno prima, dopo che per settimane aveva giurato fedeltà al fascismo e ai suoi rappresentanti parmigiani, scrive una lettera in cui si dice pronta a svelare tutta la verità in tribunale. Meglio farla tacere prima, per sempre. E la sua memoria annegherà fra le gesta della Saponificratice di Correggio.
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