Analogie
Tra i fattori che nell'arco della stagione hanno contribuito alla quadratura del cerchio del gioco del Parma c'è sicuramente la determinata volontà di Pecchia di voler spingere diversi giocatori oltre i loro limiti. Il tecnico ha dovuto fare i conti con una rosa assortita in un certo modo e non esattamente conforme alle esigenze della sua idea di gioco. E così con diversi elementi ha provato e riprovato diverse posizioni. Ma non basta: non si è trattato solo di schierare ad esempio Franco Vazquez in mediana, trequartista o centravanti, Bernabè, Sohm, Juric, Tutino e Benedyczak a turno come esterni d'attacco o Valenti terzino. Quelle sono tutte scelte, più o meno felici, che possono essere state determinate anche dalle contingenze della rosa, spesso, specie nel girone d'andata, martoriata dagli infortuni. Non è solo la posizione di partenza nel presunto sistema di gioco iniziale ad essere insolita. E' poi stata la regolare «fluidità» nel corso della gara. Anche qui va precisato che non si tratta solo di duttilità. Cioè non è che, ad esempio, Vazquez si limita, su richiesta del tecnico, a giocare mezz'ora qua e mezz'ora là. E' proprio che la posizione che diventa ibrida nel corso del gioco. Ricordate l'esperimento di guardioliana matrice fatto da Maresca con Sohm terzino e mediano al tempo stesso? Ecco, in altre zone di campo Pecchia fa uguale: Vazquez va a cercare spazio e palloni in giro per il campo partendo dalla posizione del centravanti. Sohm e Camara alternano le proiezioni offensive nei corridoi aperti dal Mudo a un lavoro di interdizione da veri e propri interni di centrocampo. Benedyczak parte dall'esterno ma spesso attacca la zona centrale diventando di fatto il centrattacco della squadra.
Ebbene questi sviluppi magmatici del gioco e del suo sistema ci hanno ricordato, in queste settimane in cui si è celebrato il trentennale di Wembley il modo in cui funzionava il miglior Parma di Nevio Scala. Perché dietro quel Parma così vincente non c'era solo goliardia, amicizia e allenamenti in Cittadella. C'era, oltre che il talento di tanti giovani calciatori, anche un meticoloso lavoro tattico sul canovaccio del 3-5-2 con cui in quegli anni era partito dalla Germania l'antagonismo al dilagante 4-4-2 sacchiano. Ecco allora che Di Chiara, ala trasformata in terzino da Lazaroni a Firenze, non fu scelto a caso dopo il primo anno in A, e che Osio e gli stranieri Brolin e Grun, erano «ibridi», i primi due tra centrocampo e attacco e l'altro tra difesa e centrocampo. Gente capace quindi di regalare una superiorità numerica di qualità nella zona della palla. Lo stesso portiere Taffarel (e poi Ballotta) fu tra i primi a giocare con piedi sopraffini.
E poi c'è venuto in mente che Scala, al primo anno a Parma, arrivò quarto in B salendo in A e poi successe quel che successe. Sì, vuol essere un augurio...
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