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La testimonianza

Lo sfogo di una madre: «Quella partita a Noceto, ritratto malato dello sport»

Lo sfogo di una madre: «Quella partita a Noceto, ritratto malato dello sport»

di Monica Rossi

30 Maggio 2023, 03:01

 Gran brutta pagina, quella che si è consumata a Noceto alla finalina del torneo «Emiliagol» per la categoria Juniores under 19: al termine di una partita nervosa e a tratti al vetriolo, persino quando le squadre si erano ormai ritirate negli spogliatoi, un giocatore della Langhiranese ha colpito uno della Valtarese, procurandogli una ferita al volto che ha richiesto, una volta arrivato all’ospedale Vaio di Fidenza, ben 6 punti di sutura.

Quanto avvenuto sul campo e fuori, che fa a pugni (letteralmente!) con i valori dello sport - tant’è che l’arbitro è ricorso a 9 cartellini gialli e a uno rosso -, va letto non solo come cronaca di una sfida finita in rissa, ma soprattutto come episodio che mette il dito in una delle tante piaghe dello sport di oggi: la competizione fine a sé stessa che diseduca anziché formare, che consegna l’idea del «si vale solo se si vince».

«Lo sport dovrebbe unire, gettare le basi per amicizie costruttive, far crescere i giovani sui quali si reggerà la società di domani. Quanto successo invece a Noceto restituisce un ritratto malato dello sport. Anzi, la dice lunga sulla disorganizzazione imperante e sulla mancata vigilanza dei giocatori che entrano in campo: serve a poco che i nostri figli si diano pacche sulle spalle prima del fischio d’inizio se poi in campo, nel terzo tempo e persino negli spogliatoi, bestemmiano come se non ci fosse un domani, si insultano anche pesantemente o si picchiano»: a parlare così è una mamma, scandalizzata per i fatti di Noceto e che preferisce non fornire le proprie generalità per non attirare l’attenzione sul figlio, che quella partita l’ha disputata. «Mi metto in gioco come madre e qui invito tutte le famiglie a unire le forze affinché lo sport come lo conosciamo oggi cambi radicalmente», prosegue.

«Rivoluzioniamolo mettendoci la faccia e offrendo supporto alle società, affinché le partite non debbano contare ad esempio su un solo arbitro, magari giovane e con poca esperienza, che da solo non può tenere d’occhio tutto il campo e difficilmente può vigilare sulla correttezza del gioco a 360 gradi: perché non chiedere ad esempio a dei volontari, magari agli stessi genitori, di aiutarlo per segnalare comportamenti scorretti e antisportivi?».

E prosegue: «Ricordo peraltro che non stiamo parlando di squadre professionistiche, ma di formazioni di provincia dove lo sport viene coltivato fin da quando i nostri figli erano piccoli. A questo proposito ancora oggi mi chiedo: ma quanti di loro possono dire di aver veramente giocato e di aver avuto le stesse opportunità? È tutta solo una questione di mera competizione, di premiare pochi a scapito dei più?».

La madre del giovane calciatore poi aggiunge, richiamando puntualmente il fatto di Noceto: «In una società giusta, il giocatore della Langhiranese avrebbe dovuto cercare subito quello della Valtarese per chiedergli scusa. In una società giusta, la famiglia del ragazzo che ha sferrato quel pugno avrebbe dovuto contattare quella del ragazzo colpito. Non è accaduto né una cosa né l’altra e questo è gravissimo. Grave poi che la società di Langhirano non si sia fatta viva per accertarsi che il giocatore valtarese stesse bene. I ragazzi sbagliano, è innegabile, ma se a quasi tutti l’andazzo va bene così… allora gli adulti sbagliano di più. A me però non va: per i nostri ragazzi auspico uno sport capace di educare, unire, formare».

La nostra infine ribadisce: «Non sono il classico caso di mamma chioccia che difende il proprio figlio. Sono semmai un genitore che accusa il sistema: se sdoganiamo i fatti di Noceto, allora abbiamo fallito come società e non saremo mai in grado di tramandare quei principi di rispetto e convivenza che devono servire ai nostri ragazzi per affrontare la vita».

Monica Rossi

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