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Editoriale

Il Pnrr e il paradosso del «controllo concomitante»

Il Pnrr e il paradosso del «controllo concomitante»

di Domenico Cacopardo

09 Giugno 2023, 13:00

Prima del diritto, della legge, prima dei 5Stelle e della Corte dei conti, c’è la logica, la semplice logica che un tempo si insegnava alle elementari. Mi riferisco al «controllo concomitante» e ne rilevo la contraddizione in termini: il controllo non può che essere successivo. Pensiamo alla costruzione di un fabbricato. È possibile (ed economico) un controllo concomitante? È possibile che mentre si compone la malta o il cemento armato qualcuno, controllore, sia insieme al muratore a pesare il cemento a misurare i tondini a verificare i livelli e le perpendicolarità?
Nel caso del fabbricato
quello che le menti eccelse grilline hanno chiamato «controllo concomitante» si trasforma in collaudo in corso d’opera, cioè in una verifica periodica dello stato dell’arte. Nella pubblica amministrazione, il
«controllo concomitante» sarebbe, di fatto, cogestione: con conseguenti responsabilità amministrative del magistrato incaricato. Il che prova come un’operazione del genere sia innaturale oltre che anticostituzionale.
L’assenza di logica sta alla base dell’invenzione di questa nuova funzione della Corte dei conti, il cui compito è definito dall’art. 103 2° comma della Costituzione: «…ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge».
Questo mostro giuridico-amministrativo risale al 2011 (Monti fecit) ma non
ebbe alcun seguito sino a quando Giuseppe Conte lo introdusse nell’attuazione del Pnrr. Già il governo Draghi ne aveva rilevato la plateale incongruenza, e l’aveva abolito. Nel frattempo, il consiglio di presidenza della Corte di conti, cogliendo l’opportunità, aveva istituito una sezione apposita dedicata al «controllo concomitante»: una sede specifica e molto ambita, se non si trattasse di Corte dei conti e di magistrati contabili, del tutto impermeabili alle tentazioni del potere e alle sue improprie derivazioni.
Ora, il governo Meloni, nell’intervenire sulla pubblica Amministrazione, ha reiterato l’abolizione del «controllo concomitante»: proteste dei magistrati della Corte, proteste della galassia dell’ex centro-sinistra, trasformata in galassia della sinistra-sinistra. E qui il caso Pd merita una particolare attenzione.
Elly Schlein portatrice di una vocazione minoritaria (Luciano Violante dixit) coerente al mandato di procedere alla demolizione del Pd ha colto la palla al balzo e ha fatto del «controllo concomitante» una battaglia politica parlamentare.
Uscita sconfitta (e lo doveva prevedere: il «controllo concomitante» è una boiata pazzesca, e il predetto Luciano Violante, oltre all’ex giudice costituzionale Sabino Cassese, condividono), ma non doma Elly Schlein continuerà pervicacemente nell’opera di dissoluzione del partito dall’esterno conquistato.
Se c’è una morale da trarre dall’episodio è soltanto questa: a furia di gridare al lupo al lupo quando il lupo non c’è, se mai si presentasse il lupo nessuno farà più attenzione a un richiamo di pericolo.
www.cacopardo.it

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