Corchia
«Nessuno si è alzato a porre dubbi e di questo vi ringrazio. Mi fa piacere che non sia solo un “no” politico, ma che sia un “no” sostenuto anche da uno studio universitario»: Luigi Lucchi, sindaco di Berceto e primo ad accendere i riflettori sulla richiesta di riapertura delle miniere avanzata da Alta Zinc, ha voluto così evidenziare, insieme al sindaco di Borgotaro Marco Moglia, la compattezza di tutti i rappresentanti del territorio dopo l’acquisizione all’unanimità da parte dell’assemblea dei sindaci dello studio preliminare realizzato dal Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma.
Uno studio che punta i riflettori sui potenziali impatti in area vasta, riconducibili alla riattivazione delle Miniere di Corchia e propedeutico alla definizione delle azioni di tutela delle risorse idriche in Val Manubiola e Val Cogena.
Un documento che la Provincia aveva chiesto di elaborare proprio per consentire ad amministratori, cittadini e portatori di interesse una corretta valutazione dei possibili impatti della ripresa dell’estrazione mineraria sul sistema idrogeologico della Val Taro e quindi, a caduta, sulla popolazione, sull’ambiente e sulle imprese. «Si è studiato quali sono le interconnessioni idrauliche tra il sistema idrogeologico di Corchia e tutto ciò che c’è a valle, e, successivamente, gli scenari d’impatto sono stati valutati su un’area vasta a valle delle miniere», è stata la premessa di Daniele Friggeri, sindaco di Montechiarugolo e delegato provinciale alla pianificazione territoriale e politiche ambientali.
«I potenziali impatti diretti sono quindi stati analizzati in termini qualitativi e quantitativi. In termini quantitativi, la realizzazione di gallerie o scavi, come anche l’uso di tecniche che potrebbero indurre modificazioni sui caratteri idraulici della roccia, potrebbero modificare il funzionamento idrogeologico del sistema acquifero, inducendo anche un drenaggio delle falde sospese verso le falde basali». Un’eventualità, quest’ultima, che porterebbe alla scomparsa di sorgenti, prosciugando i rubinetti delle utenze che oggi le utilizzano.
«In termini qualitativi - ha proseguito Friggeri -, l’eventuale contaminazione delle acque indurrebbe un impatto negativo sulla qualità delle risorse idriche sotterranee interconnesse con il fiume Taro. Questo ovviamente coinvolge tutta la Val Taro con un effetto a catena in funzione dell’interconnessione dei sistemi acquiferi». Il reticolo sotterraneo, infatti, potrebbe portare gli inquinanti in un’area che va dalla montagna alla Bassa e, soprattutto, ai pozzi da cui viene prelevata l’acqua che arriva nelle case di città e provincia, alle industrie alimentari e ai campi coltivati. «Quello che si ricava da questo studio è che è certo che gli impatti ci saranno e che gli impatti saranno probabilmente negativi – ha concluso Friggeri – ed è per questo che come sindaci ci siamo opposti alla riattivazione delle miniere di Corchia».
«Questa provincia rappresenta l’Italia nel mondo con le sue eccellenze agro-alimentari, ma queste esistono perché c’è acqua ed è di buona qualità – ha aggiunto il presidente Andrea Massari -. Tutti i prodotti che derivano dalla filiera agricola hanno bisogno di questa risorsa. E a questo aspetto si aggiunge la preoccupazione per le acque più profonde, ovvero quelle che usiamo quotidianamente nelle nostre case».
«L’acqua di qualità che abbiamo in pianura ci arriva dall’alto – ha voluto sottolineare Luigi Spinazzi, sindaco di Fontanellato ma anche ex presidente del consorzio di Bonifica e agricoltore, richiamando i primi cittadini a non mollare la presa -. Il conoide del Taro è fondamentale per il territorio e qualunque azione, supportata da documenti, utile a preservare questa qualità deve essere sostenuta al massimo». E da oggi, anche se come ha ricordato Massari in chiusura «la battaglia è ancora tutta da fare», un nuovo (e pesante) mattone per il fronte del «no» è stato posato.
Chiara De Carli
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