CONDANNA
Cercava di rifuggire da quell'ombra che era sempre lì, accanto a lei. Solo 9 anni, Mary (la chiameremo così), e un segreto doloroso da ricacciare in un angolo remoto ogni volta che riaffiorava. Per mesi si era riempita la testa di domande, si era detta che «forse non c'era nulla di male», perché anche lui le diceva così, e che in breve tempo tutto sarebbe finito. Ma dopo i baci e le carezze, era diventata il «giocattolino» dello zio: la violenza era diventata completa. E un giorno di dicembre del 2015 Mary era scoppiata in lacrime in classe. Poi, almeno in parte, si era confidata con un'insegnante che aveva saputo avvicinarla con delicatezza. E ieri lo zio - oggi 50enne, origini ghanesi, da anni residente a Parma - è stato condannato a 7 anni per violenza sessuale aggravata dal collegio presieduto da Gabriella Orsi. Il pm Fabrizio Pensa aveva chiesto sei mesi in più, ma l'accusa di corruzione di minorenne, l'altro reato contestato all'uomo, perché avrebbe mostrato materiale pedopornografico alla bambina per indurla a compiere o a subire atti sessuali, è stata dichiarata prescritta.
Non dimenticherà mai suoi pomeriggi da prigioniera. I martedì, quando la mamma era impegnata tutto il giorno al lavoro e arrivava lui a prenderla a scuola per poi riportala a casa. Per qualche giorno, nell'autunno del 2015, una delle sue insegnanti aveva notato che Mary era taciturna, spesso con lo sguardo assente o velato dalle lacrime. Fino a quella mattina, in cui il pianto era diventato irrefrenabile. La docente aveva suggerito a un'alunna con cui Mary era molto legata di accompagnarla in bagno.
Ma quella confidenza era troppo grande anche per l'amica del cuore. Che, appena rientrata in aula, aveva chiesto all'insegnante di uscire dalla classe per andare a parlare con Mary. E lei, in fondo, da tempo aveva sperato di potersi liberare da quella zavorra. Eppure, aveva paura. Provava timore e vergogna, perché lo zio le aveva riempito la testa con le sue subdole lusinghe: «E' il nostro patto segreto, gli altri non devono sapere perché non capirebbero». E Mary aveva rivelato alla maestra solo una parte della verità, raccontando che lui l'aveva avvicinata in cucina e le aveva toccato le parti intime passando la mano sopra i suoi pantaloni.
Una sola volta. E non sarebbe andato oltre. Aveva sussurrato solo questo, Mary, nonostante l'insegnante le avesse fatto più domande per capire.
C'era una sofferenza più profonda da rivelare. Ma quel peso così gravoso la inchiodava ancora al silenzio sugli aspetti più terribili della violenza. Si era aperto uno spiraglio di luce, però. La docente ne aveva parlato anche con una collega e poi si era confrontata con la preside. Che aveva immediatamente chiamato la madre.
Si erano ritrovate insieme nell'ufficio della dirigente scolastica. E Mary aveva bisbigliato e pianto trovando il coraggio di dire una parte di quanto era successo. Ma anche quel brandello di verità era bastato per far terremotare ogni certezza. La madre non aveva mai avuto dubbi su quell'uomo a cui affidava i suoi figli solo un giorno alla settimana, quando doveva trattenersi a lungo al lavoro. E ora era sconvolta. Turbata, anche perché lei si fidava soprattutto di sua nipote, la moglie dell'uomo, che si alternava con il marito nell'accudire i suoi figli se lei era impegnata. Da quel giorno, però, aveva garantito alle insegnanti che nessuno dei bambini avrebbe incontrato ancora lo zio.
Ma a Mary lui aveva già fatto toccare l'abisso. L'aveva costretta a subire tutto in quei pomeriggi in cui era stato facile appartarsi in una stanza, senza che gli altri due bambini sospettassero qualcosa. O avessero il coraggio di fare domande.
Il coraggio che Mary aveva trovato durante l'incidente probatorio in tribunale, molto tempo dopo quel primo colloquio con le insegnanti. Davanti al giudice, assistita da una psicologa, aveva distillato anche gli istanti più squallidi di quelle ore con lo zio.
Costretta a crescere in fretta, Mary. A guardare troppo presto negli occhi il male.
Georgia Azzali
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