L'INCHIESTA
Il campo d'imputazione più grave, il peculato di 400mila euro per l'acquisto dell'area dell'ex macello di Parma, è stato cancellato con la formula più favorevole all'imputato: «il fatto non sussiste». Mentre per quanto riguarda una serie di consulenze considerate fittizie, e l'utilizzo improprio di una carta di credito legata ai conti della holding Stt, i giudici della suprema corte hanno deciso che il processo è da rifare. Le motivazioni della sentenza della Corte d'appello conterrebbero una serie di vizi e di carenze di una rilevanza tale da rendere necessario un nuovo processo, però in un'altra sezione d'appello.
Con la sentenza della Corte di cassazione di metà aprile e depositata pochi giorni fa crollano (in un caso) e vengono rimessi in discussione alcuni dei punti fermi confermati a maggio 2022 dalla Corte d'appello nel secondo grado di giudizio del processo «Public money». L'inchiesta coordinata dal pm Paola Dal Monte e sviluppata dalla Guardia di finanza, nel gennaio 2013 scatenò una serie di arresti eccellenti, tra cui quello dell'ex sindaco Pietro Vignali (finito ai domiciliari), che patteggiò e poi ottenne la riabilitazione.
Tra le varie condanne e assoluzioni, nel processo d'appello i giudici condannarono l'ex presidente della holding Stt, Andrea Costa, a 6 anni e 6 mesi, mentre Alfonso Bove, amministratore della società Gdm e il giornalista Aldo Torchiaro erano stati condannati a 3 anni. Buona parte delle accuse ruotavano attorno ai soldi pagati da Stt ed Alfa per l'acquisto di terreni e per consulenze ritenute fittizie.
La sentenza della Corte di cassazione però rimette in discussione l'impianto accusatorio e cancella il reato di peculato per l'acquisto dell'area del macello, dato che l'utilizzo di fondi pubblici da parte di Stt, società interamente partecipata dal Comune, per permettere ad Alfa (altra società del Comune) di comprare i terreni non sarebbe un'attività privatistica. In altre parole, quell'acquisto era in linea con i piani di trasformazione urbana pensati dal Comune.
«Il quadro accusatorio iniziale è stato fortemente ridimensionato dalla Cassazione. Soddisfatti perché per l'accusa più grave la suprema corte ha annullato la sentenza della Corte d'appello senza rinvio», commenta Beniamino Migliucci, difensore di Costa.
Per quanto riguarda invece la consulenza, ritenuta fittizia, del giornalista Aldo Torchiaro ad Alfa, i giudici della Cassazione hanno ordinato un nuovo processo in appello, fissando alcuni paletti per la nuova sezione che si occuperò del caso. «Questa è una sentenza che soddisfa, perché a mio avviso pone la parola fine ad una vicenda giudiziaria che per Torchiaro non doveva nemmeno iniziare», afferma Gian Domenico Caiazza, legale del giornalista, che si è visto accogliere tutti i motivi del ricorso contro la sentenza d'appello.
Soddisfatta anche Patrizia Pecoraro, che per 11 anni ha seguito la vicenda di Alfonso Bove. «È stata accolta in toto la tesi per la quale c'è insussistenza clamorosa del reato presupposto, che è il peculato». Per l'accusa, Bove non avrebbe prestato i «servizi extra» per un convegno di Stt nel 2010. «La cassazione - aggiunge - si è resa conto che le uniche prove certe sono state quelle prodotte dalla difesa».
Ora tutto ripartirà da una nuova sezione della Corte d'appello, ma i giudici dovranno tenere ben presente le indicazioni stabilite dalla cassazione, a partire dall'inversione dell'onere della prova, che non dovrà più essere in capo alla difesa, bensì all'accusa.
Infine, con il venire meno del peculato di 400mila euro, anche i reati imputati a Costa che sono passati in giudicato dovranno essere ricalcolati. O meglio, ridimensionati.
P.Dall.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata