Condannato
Altro che innocua «fuitina». In contemporanea, l'amplesso automobilistico consumato in pieno giorno equivalse a due evasioni: dai domiciliari e dal talamo nuziale. Per la prima, un quarantenne parmigiano ha rimediato la condanna a otto mesi di reclusione da parte del giudice Gabriella Orsi, dopo che il pm Marirosa Parlangeli aveva chiesto un anno. La seconda, la moglie deve avergliela fatta pagare per un po'. Tanto che alla fine, l'ingresso in carcere per scontare la condanna definitiva per il reato per il quale era stato arrestato in precedenza, all'uomo deve essere parsa una sorta di amnistia.
Focoso in tutti i sensi il quarantenne protagonista di questa vicenda. I suoi guai cominciarono con l'arresto per il rogo di un bosco. Mesi dopo, ottenuto il permesso di recarsi al lavoro pur essendo ai domiciliari, fu lo stesso incendiario a incendiarsi, per un'avvenente signora appena conosciuta. Fulminea passione subito ricambiata: tanto che i due finirono su un'auto in sosta a scambiarsi roventi abbracci. Non proprio centrale, ma nemmeno delle più strategiche via Palermo, la strada scelta per fermare la vettura e farsi travolgere dal reciproco desiderio.
Erano le 11 del 20 novembre 2020, quando una passante attirò l'attenzione di una pattuglia della Polizia locale impegnata in un controllo del territorio. «Agenti - disse la signora - su quell'auto sembra che stia accadendo qualcosa di strano». La pattuglia si avvicinò alla vettura indicata, notando che entrambi gli occupanti erano seduti sul sedile del passeggero. Lui sotto, lei sopra. Lui non poteva vedere gli agenti, perché dava loro le spalle, lei - nonostante li avesse di fronte, appena oltre il lunotto - perché troppo impegnata.
Solo ad amplesso concluso, la donna si accorse della «mancata intimità». Subito saltò sul sedile del conducente. Poi, si prese il tempo necessario per ricomporsi, prima di scendere dall'auto. E così fece il suo partner «improvvisato». Fu lui stesso ad ammettere alla pattuglia di essere due volte nel posto sbagliato, essendo scaduto di mezz'ora il suo tempo all'esterno, dopo il turno di lavoro. Trenta minuti appena, ha commentato il suo avvocato, sostenendo come - a proprio avviso - più che di evasione vera e propria si sia trattato di un'inosservanza delle prescrizioni legate alla misura cautelare. Il ricorso in appello, per l'uomo che ancora sta scontando in cella la pena precedente, è quasi certo. Forse, una volta scarcerato, proverà a chiedere anche un «appello domestico».
Roberto Longoni
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