Il caso
Dove la medicina si perde in diatribe può toccare alla giustizia fare la diagnosi. È accaduto a Civitavecchia, dove un giudice ha riconosciuto la validità della terapia seguita per il figlio affetto dalla sindrome di Pandas da una madre separata, dando torto (e condannandolo a pagare le spese) al padre che a queste cure si opponeva. Al fianco della donna (e del ragazzo), l’avvocata parmigiana Emanuela Bellante, legale di Pans Pandas Bge, l’associazione con sede a Parma, ma operativa a livello nazionale, che riunisce famiglie di giovani affetti dalla sindrome. Pochi hanno mai sentito nominare questa malattia, considerata rara anche perché ignorata da buona parte del mondo accademico: italiano e del resto d’Europa. Mentre negli Stati Uniti è riconosciuta dal 1998, dopo essere stata diagnosticata alla Stanford e alla Columbia University. Oltreoceano se ne combattono le cause innanzitutto con gli antibiotici, da noi se ne affrontano gli effetti a suon di psicofarmaci. Non sempre è necessario stare sulle due sponde dell’Atlantico per vederla all'opposto. In Italia è sufficiente appartenere a diversi enti: per l’Inps la Pandas è una giusta causa per il riconoscimento della legge 104, mentre per il Servizio sanitario nazionale non esiste.
Insomma, un ginepraio con il quale sta facendo i conti anche il ministero della Salute, dove Giorgia Meloni ha di recente istituito un tavolo di lavoro ad hoc. Svolta nella quale una giovanissima parmigiana è stata protagonista. La decisione di andare a fondo nella controversa questione, la premier la prese dopo l’incontro dei primi di marzo con Nicole, 12 anni, che da Parma aveva scritto per sensibilizzarla sulla sua malattia. Nel viaggio a Roma (che ne seguì un precedente in Vaticano, con il ricevimento da parte del Papa, e la visita a casa da parte del presidente della Regione Stefano Bonaccini), Nicole era accompagnata dalla madre Ketty Lalli, vice di Stefania Lessio, presidente dell’associazione. «La cura per i nostri figli non è più un miraggio - dichiarò in quell’occasione la mamma di Nicole -, perché ci siamo trovati di fronte a una persona sensibile e determinata». Ora, un passo in più, con l’ingresso in scena di un altro aggettivo: il «coraggioso» con il quale Emanuela Bellante, che dichiara di aver seguito il caso più da madre che da legale, definisce il giudice Gianluca Gelso.
«La sindrome di Pandas - spiega l’avvocata - è una neuroinfiammazione scatenata da un’infezione da streptococco. La malattia colpisce i piccoli tra i due e i tre anni e si manifesta dalla sera al mattino, con febbri e otiti e la comparsa di tic, inarcamenti della schiena e aggressività. Se non è curata in tempo, si cronicizza e viene confusa da molti medici con lo spettro autistico». Da qui la somministrazione di psicofarmaci, quando (oltre ai colleghi americani) in Italia specialisti quali Alberto Spalice, neurologo pediatrico dell’Umberto I, e la pediatra Fernanda Falcini, esperta in diagnosi di patologie derivanti da streptococco beta emolitico, che da anni riconoscono questa patologia, hanno dimostrato come sia possibile farla regredire attraverso la somministrazione di antibiotici e penicilline associata a una dieta priva di glutine, zuccheri raffinati e caseina.
Terapia seguita dalla madre del ragazzo di Civitavecchia costretta a comparire davanti al giudice dall’ex marito, con il quale condivide l’affido del figlio, che non riconosceva alcuna validità scientifica nella cura. «Proprio come sosteneva - racconta Emanuela Bellante - l’articolo firmato da alcuni neuropsichiatri del Bambin Gesù e depositato dalla controparte». La difesa della madre ha invece puntato innanzitutto sull’esperienza diretta. «Al ragazzo, oggi quattordicenne, a tre anni è stato diagnosticato un disturbo autistico. Sottoposto alle solite cure a base di psicofarmaci, non ha fatto che peggiorare: si addormentava al banco ed era perfino arrivato a perdere l’uso della parola. Fu il neuropsichiatra Nicola Antonucci a consigliare alla madre di sospendere gli psicofarmaci, e i miglioramenti furono ben presto evidenti: grazie alla dieta, il ragazzo riprese a parlare e a frequentare la scuola con profitto. Mentre immancabilmente le sue condizioni si aggravavano, quando con il padre tornava alla vita di prima».
Altri casi analoghi sono stati prodotti dalla difesa, mentre da parte del ricorrente si evidenziava un difetto probatorio. «Non esiste infatti documentazione che attesti che dopo essere stato sottoposto a cure di questo tipo il paziente sia mai peggiorato. Il nostro quadro probatorio invece era schiacciante». Tenuto conto di questo e della dozzina di certificazioni per la legge 104 rilasciate dall’Inps in tutt’Italia per sindrome di Pandas, il giudice ha dato ragione alla madre senza nemmeno ritenere necessaria una perizia. «Così ha colmato un vuoto in campo scientifico, basandosi su certificazioni mediche». Applicando il metodo induttivo di antica memoria.
«Una sentenza fondamentale - sottolinea Emanuela Bellante, che dice di aver affrontato il caso più da mamma che da legale -. Ora possiamo avere più speranze nel riconoscimento della sindrome di Pandas da parte del Servizio sanitario nazionale. In ballo c’è il diritto alla cura, troppo spesso dimenticato. Le famiglie non devono sentirsi più sole nella loro battaglia. Più ancora degli antibiotici necessari per la terapia, è il cammino per la diagnosi a essere costoso: bisogna sottoporsi a esami metabolici, delle funzioni cognitive e neurologiche. C’è la possibilità di migliorare la vita di tanti ragazzi e delle loro famiglie: non dobbiamo fermarci».
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata