Gian Domenico Paini
Torrile Quasi tutti aspettano le vacanze per dedicarsi agli hobby, viaggiare e rilassarsi dopo un anno di lavoro. Gian Domenico Paini, medico dentista di San Polo di Torrile, una parte delle vacanze l’ha invece trascorsa al lavoro, ma 7.500 chilometri dal suo studio e da tutte le comodità di un qualsiasi ambulatorio italiano.
Partito con tre valigie di strumenti, medicinali e materiali usa e getta, raccolti tra i volontari di «Oltre il sorriso Onlus» di cui fa parte da anni, Paini è partito insieme a due odontotecnici italiani alla volta di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo.
Due settimane di «ferie» prese per mettere la sua professionalità ed esperienza al servizio del progetto dell’associazione «Agape - Il futuro non si improvvisa», volto a fornire le necessarie cure odontoiatriche alle popolazioni che vivono nella zona di Kimbondo, città a una quarantina di chilometri dalla capitale. Qui, grazie al contributo di tanti sostenitori, nel gennaio 2022 è stata inaugurata la «dentistérie» dell’ospedale pediatrico e orfanotrofio che ospita circa settecento bambini senza famiglia, ma per aprire la porta la buona volontà non basta: serve saper lavorare. In attesa di realizzare il prossimo sogno, ovvero creare una scuola per formare odontotecnici e odontoiatri, sono a garantire il servizio sono i medici italiani. «Quando arriviamo viene dato un avviso e chi ha bisogno si mette in fila: a volte anche notte e giorno. Il nostro compito principale è quello di curare i bambini, perché sono la fascia più debole della popolazione, ma il servizio si è esteso all’intera comunità e le lunghe code che si formano davanti alla porta sono testimonianza della sua utilità» spiega Paini, che a queste missioni ha già partecipato diverse volte e non solo con destinazione Congo. «Nell’hub di Kimbondo ci sono piccole case di accoglienza in cui i bambini vivono e vanno a scuola ma dove vengono anche curati: la maggior parte di loro sono orfani o abbandonati dalla famiglia e questa è la loro unica chance».
Chi nasce con una disabilità viene infatti rifiutato dall’intera comunità e spesso lasciato a morire solo. I più fortunati vengono portati qui, e i «numeri» sono impressionanti. «Lavorare qui non è semplice e non solo per il caldo, per lo scoglio della lingua o perché spesso i pazienti hanno difficoltà a stare fermi durante l’intervento. A volte manca la corrente elettrica per ore e tutto si rallenta o si ferma». Se nei quartieri residenziali c’è maggior richiesta per accendere l’aria condizionata ovunque si toglie dalle zone più povere, e non importa se c’è l’ospedale e l’elettricità serve per far funzionare gli strumenti e non l’inesistente impianto di raffrescamento. Ma nonostante la fatica fisica e mentale, ogni volta si ritorna con un bagaglio più ricco di quello con cui si è partiti. «Durante questi viaggi ho sempre avuto l’opportunità di conoscere molte persone interessanti e di grande “ispirazione” per apprezzare quello che nella vita di tutti i giorni si dà un po’ per scontato».
Chiara De Carli
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