Intervista
«Un piede nel passato e lo sguardo diritto e aperto nel futuro»: il titolo del tour è una bandiera, una filosofia di vita. E che vita, quella di Rita-la rossa, Rita-la zanzara, Rita-datemi-un-martello, Rita-Gian Burrasca, insomma Rita Pavone, uno dei pilastri fondanti della repubblica pop d'Italia, la faccia unita e compatta di un Paese reale che litiga su tutto ma guai a toccargli i Santi della canzone nelle vetrinette della cucina dove la “pappa col pomodoro” s'accompagna al “fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”. La Pavone con Morandi. Ecco, Rita con Gianni, un legame che ricorrerà spesso in questa intervista: due storie esemplari di come le crisi ci possano rendere migliori. «Con Gianni c'è un bellissimo rapporto, per me è stato sempre come un fratello maggiore, di 6 mesi in realtà», dice Rita, generosa di pensieri, al telefono, in attesa che il suo tour, che coincide con i 60 anni di carriera, giovedì faccia tappa a Salsomaggiore, alla Pinko Arena di Parco Mazzini.
Partiamo dal concerto: proporrà i suoi successi, è ovvio. Ma anche brani cantautorali, una vena più personale.
«Ho la fortuna di festeggiare 60 anni di carriera e poter cantare quello che è successo in questi sei decenni, la mia evoluzione da interprete di canzoni di altri, che facevo mie, fino ad arrivare a scrivere testi, per me e per altri, a occuparmi degli arrangiamenti, ad autoprodurmi. Il mio repertorio anni '60, primi anni '70 è talmente ricco che potrei vivere di rendita: basterebbero quelle canzoni per fare un concerto. Ma non è ciò che voglio. Certo, amo ricordare i brani che mi hanno portato il successo e ai quali va tutta la mia gratitudine, però devo mettermi in gioco. Se oggi sono considerata “boomer”, non voglio dimenticare che già anni fa io e Morandi soffrimmo di una crisi d'identità, quando arrivò una nuova generazione di cantanti. Allora io ebbi la fortuna di lavorare all'estero, ascoltare, confrontarmi, alzare l'asticella per vedere fin dove potevo arrivare. Ecco, oggi che molti cantano perché hanno l'auto-tune, e senza quello non sanno cantare, io faccio parte di quella schiera che canta perché sa e ama cantare».
Lei e Gianni Morandi avete conosciuto la crisi. L'avete superata lavorandoci sodo, senza nascondervi dietro una foglia di fico. Una lezione, per tutte le persone.
«Non c'è nessun artista al mondo, a partire da Frank Sinatra o Elvis Presley, che non abbia avuto un momento difficile. Io mi ritengo una guerriera. Ho sempre posseduto un'inclinazione “soul” in un'anima rock, sono sempre stata credibile in molti ruoli e ho cercato di sfruttare questa credibilità. La mia fortuna è che mi sono trovata in crisi in Italia in un momento in cui sfondavo negli Stati Uniti e in Inghilterra, ero nelle classifiche francesi. Questo è stato per me importante; ho potuto vedere come lavoravano gli altri».
Chi ha preso a modello, in particolare?
«In America Sammy Davis jr che lavorava con Sinatra e Dean Martin. È stato uno di quegli artisti con un talento speciale, che ballano, cantano, fanno tutto meravigliosamente bene. Non vanno in semplicemente in scena, la riempiono. Allo stesso modo, sono state miei miti Judy Garland prima e Tina Turner poi».
Tina abitava in Svizzera, lei pure: vi siete mai incontrate?
«No, lei stava vicino a Zurigo, io abito nel Canton Ticino. Però l'ho sempre seguita, anche nei momenti difficili, come quando venne alla televisione italiana nel programma di Pippo Baudo e compariva come quarto nome, dopo Beppe Grillo e Heather Parisi. Dico quarto nome, una che non aveva i polmoni, aveva le bombole d'ossigeno. Per dire che tutti abbiamo avuto un momento difficile ma che comunque serve per capire quello che puoi fare, misurare le tue capacità, la tua resistenza. Quello che ammiro in me e Gianni è stata la tenacia nel dire: “io sono qui e ho ancora un sacco di cose da dire e vi sorprenderò”. E vi sorprenderò anche a Salsomaggiore, sarò una Rita da scoprire».
Abbiamo parlato tanto di Gianni Morandi: quando eravate ragazzi lui le fece “il filo” ma lei rifiutò...
«A parte che non me ne sono neanche accorta... l'ha raccontato lui in un'intervista. Sul serio, non me ne sono accorta. Ma molti ragazzi erano interessati a me. L'altro giorno mi ha scritto un bellissimo messaggio Tito Schipa Junior, che era l'assistente di studio di Lina Wertmuller, dicendomi: “sai che ero innamoratissimo di te...”. Ma io avevo il cuore già preso».
La storia d'amore tra lei e suo marito Teddy Reno è più unica che rara, non solo nel mondo dello spettacolo.
«Abbiamo festeggiato in marzo 55 anni di matrimonio, ma ci siamo innamorati 58 anni fa. Ho capito che era l'uomo della mia vita e ho fatto la mia scelta. Premetto che, poco prima, per ubbidire ai miei genitori, avevo dovuto lasciare gli Stati Uniti in un momento in cui ero in classifica tra i primi 20, una cosa assurda. Però la maggiore età era a 21 anni, io ne avevo solo 19 e la situazione tra i miei, che poi presero ognuno la propria strada, era difficile. Quando capii di aver trovato l'amore, dissi ai miei genitori: “mi avete già fatto perdere una grande occasione, questa non la perdo”. Dentro di me sentivo che se avessi perduto quel treno, avrei perso la mia vita, la felicità di avere due figli straordinari, di fare il mio mestiere ma di essere anche Rita normale che va al grotto (localini tipici del Canton Ticino, ndr) a mangiare il gelato».
Teddy Reno ha 97 anni, una età non da tutti...
«Fisicamente sta bene... e come canta ancora! Poi dice compiaciuto: “Siamo rimasti solo io e Tony Bennett a cantare così”. Non gli abbiamo detto che Bennett è morto, lo scoprirà... Fa le passeggiate in giardino, va al grotto vicino a casa nostra, a mangiare il gelato d'estate o lo strudel d'inverno. Insomma è un pazzo scatenato che io amo e che continua ad amarmi profondamente».
E questo è un grande dono, complimenti. Ha detto prima che si considera una guerriera ed è l'immagine che noi abbiamo in effetti, forse perché in parte la sovrapponiamo a Gian Burrasca, un successo clamoroso, apparentemente semplice ma che aveva dietro dei giganti, dal testo di Vamba, alla regia della Wertmuller alla colonna sonora di Rota...
«Devo dire che ebbi un momento di panico, quando Lina mi offrì questa opportunità. Avevo 19 anni, ero piatta come un asse da stiro e scoprii che il personaggio principale era un maschietto. Caddi in crisi: “Ma allora io sembro un maschietto?”. Lina, che considero la mia mamma artistica, mi fece una scenataccia: “Se vuoi fare teatro, devi accettare tutti i ruoli. Guarda Il diavolo è femmina, Katharine Hepburn interpreta un ragazzo eppure è una bella donna. Ti farò bellissima in Rita la zanzara, ma qui da te voglio altro”. Accettai e mi misi a studiare i miei tre fratelli maschi. Alla fine fu una vittoria che mi aprì a altri lavori, importanti, con recensioni che non mi sarei mai aspettata».
In «Apocalittici e Integrati», Umberto Eco scrisse: «Con Rita Pavone si realizzava una sorta di richiamo ben più sfumato e impreciso. La Pavone appariva come la prima diva della canzone che non fosse donna; ma non era neppure bambina...».
«Un onore le pagine che Eco mi dedicò. Mio marito dice che ho una sensualità interiore, che solo chi mi frequenta avverte. Evidentemente anche Eco l'ha avvertita. Un cowboy vestito di seta, dicono in America, ad indicare una sensualità nascosta».
Mara Pedrabissi
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