Editoriale
C'era una volta il mito dell’invincibilità dei colossi della Rete. Il dibattito pubblico mondiale per diversi lustri è stato dominato dalla percezione di onnipotenza delle grandi piattaforme web e social, che hanno fatto il bello e il cattivo tempo, sfruttando l’assenza di vincoli normativi e l’euforia degli utenti, ammaliati dall’overdose di servizi accessibili in Rete, apparentemente in forma gratuita ma in realtà dietro cessione di spicchi importanti di sovranità sui propri dati personali.
Forse, però, il vento sta cambiando e quel mito dell’invincibilità si sta sgretolando sotto i colpi inferti ai giganti della Rete dalle azioni di organi giurisdizionali da un lato e legislatori dall’altro, con un contorno non trascurabile di difficoltà congiunturali di natura finanziaria.
Nell’ultimo periodo, infatti, i giganti tecnologici stanno attraversando un momento di profonda turbolenza. Con Google al centro di un processo legale importante e l'ombra di pressioni indebite che il colosso di Mountain View avrebbe subìto dal presidente Usa, Joe Biden durante la pandemia, si prospettano una serie di sfide economiche e giudiziarie che mettono in discussione la stabilità delle piattaforme digitali dominanti.
Nei giorni scorsi è iniziato il primo grande processo dell’era digitale che vede Google accusato dal governo americano di aver violato sistematicamente le norme anti-monopolio. Un gruppo di procuratori generali statali ha accusato l'azienda di aver raggiunto una posizione dominante illegittima nelle ricerche online, affermando che Google ha monopolizzato circa il 90% di quel mercato. Questa mossa è stata considerata una violazione delle regole sulla libera concorrenza e un danno per i consumatori. Si parla già di processo storico in quanto è il primo avviato dal governo degli Stati Uniti contro una grande azienda tecnologica dai tempi di quello contro Microsoft del 1998, quando quest’ultima fu accusata di abuso di posizione dominante perché impose di default il suo browser Explorer come software di navigazione web ai clienti Windows, il suo sistema operativo. A prescindere dall’esito del processo, si tratta comunque di un segno dei tempi, che solo qualche anno fa sarebbe stato inimmaginabile o vissuto come lesa maestà dai vertici del colosso di Google.
I tempi sembrano evidentemente maturi per porsi delle domande sulla regolamentazione delle aziende tecnologiche e sul loro potere incontrollato sulle informazioni online. Questo procedimento contro Google potrebbe avere un grosso impatto anche sul resto dell’industria tecnologica americana, tanto che sono state aperte indagini contro Meta (Facebook) ed altre grandi aziende del settore.
Un altro evento che sta minando la credibilità delle piattaforme digitali e le loro prospettive di espansione è la sentenza pronunciata dalla quinta sezione della Corte d’appello degli Stati Uniti, nell’ambito del processo Missouri vs. Biden. In essa è stabilito che l’amministrazione Biden e l’Fbi hanno probabilmente violato il primo emendamento della Costituzione americana, che sancisce la libertà d’espressione, spingendo le big tech a rimuovere dai social alcuni post che facevano disinformazione su Covid ed elezioni. In altre parole, il governo americano avrebbe influenzato impropriamente le decisioni di tutte le principali piattaforme social riguardo la pubblicazione o la soppressione di post inerenti la pandemia da Covid-19, ma anche le elezioni del Congresso svoltesi nel 2022. Per quale finalità? Con l’obiettivo di proporre una narrazione in linea con quanto sostenuto dall’amministrazione e spingere il pubblico a vaccinarsi. I giudici adombrano il sospetto che quest’influenza della Casa Bianca sulle piattaforme sia tuttora attiva. Secondo la sentenza «negli ultimi anni un gruppo di ufficiali federali è stato regolarmente in contatto con quasi tutte le maggiori compagnie di social media americane in merito al diffondersi della “disinformazione” sulle loro piattaforme». Le grandi compagnie che operano nel campo dei social media avrebbero dato accesso agli ufficiali ad un sistema di segnalazione accelerato oltre ad aver declassato o rimosso i post segnalati e anche molti utenti. Le piattaforme social avrebbero anche cambiato le loro politiche interne per individuare più contenuti segnalati e inviato costantemente rapporti sulle loro attività di moderazione agli ufficiali. Da quanto emerge, quindi, l’amministrazione Biden ha «costretto le piattaforme (Facebook, Twitter (ora X), YouTube e Google) a prendere le loro decisioni di moderazione con messaggi intimidatori e minacce di conseguenze negative».
Come detto, oltre alle sfide legali e politiche, le piattaforme digitali stanno affrontando una serie di sfide economiche. Infatti, dopo aver sperimentato una crescita esplosiva, negli ultimi tempi stanno cominciando a mostrare segni di stress nella gestione dei propri bilanci. Molte delle principali piattaforme digitali hanno raggiunto una saturazione nei mercati chiave, il che significa che è sempre più difficile acquisire nuovi utenti. Inoltre, le crescenti preoccupazioni per la privacy dei dati degli utenti e la diffusione di contenuti dannosi hanno indotto i legislatori a disciplinare in maniera più vincolante e restrittiva la materia. In concomitanza con queste difficoltà che minano il benessere dei colossi del web, infatti, gli organi legislativi stanno intensificando i loro sforzi per rafforzare il quadro normativo che regola tali piattaforme, sia in termini di regolamentazione delle pratiche di mercato (promuovendo la libera concorrenza e contrastando le posizioni dominanti), sia per quanto riguarda le responsabilità delle piattaforme per i contenuti diffusi in Rete. L'entrata in vigore del Digital Services Act e del Digital Markets Act rappresenta una svolta significativa in tale direzione.
Questo innegabile appannamento dell’immagine delle piattaforme web e social, che è il riflesso di una crisi d’identità legata alla mancata definizione della loro natura giuridica e alla ridotta sostenibilità della loro strategia di mercato, sta plasmando il futuro del mondo digitale e ridefinendo i principi fondamentali della democrazia della Rete. Si avverte una diffusa stanchezza tra gli utenti rispetto al modello originario dei social, che forse le big tech non avevano messo in conto. La manifesta volatilità delle abitudini digitali degli internauti potrebbe essere una buona notizia e contribuire alla rigenerazione dello spazio digitale in funzione di un sano riequilibrio nel rapporto tra gli operatori di Rete e, più in generale, tra l’uomo e le tecnologie digitali.
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