Gazza Ladra
È una definizione un po’ aulica ma quella di «paroliere» ben si adatta a Franco Migliacci, scomparso venerdì scorso a 92 anni. Come un giocoliere esperto, Migliacci ha attraversato tante decadi di un’Italia che cambiava e, come in tutte le mutazioni, ci sono “supporti” con cui i cambiamenti hanno una chiarissima ragione d’essere, perché diventano piccole rivoluzioni che fanno avvertire l’ingresso in una nuova epoca come naturale, necessario. Se Migliacci scrive «Volare», a una dozzina d’anni di distanza dalla fine della Seconda guerra mondiale, e immagina come sarebbe bello affrontare le difficoltà della vita con una “magia” che gli consenta di “volare” e sentire il piacere della liberazione dalle incombenze del quotidiano, è come offrire a tutto il mondo (non a caso «Volare» diventa un successo planetario, cantato da un esercito di interpreti, da David Bowie a Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Paul McCartney) una terapia liberatoria, un antistress che accompagnato dal gesto di Domenico Modugno a Sanremo, quell’aprire le braccia era come simulare un volo libero. Già, la libertà di spaziare per chi come Franco sapeva quali parole usare e ben individuava a chi affidarle, compie un miracolo dopo l’altro: nei primi anni ‘60 è Gianni Morandi il messaggero di un Paese in transito e che ha un emblema altrettanto transitorio, con Gianni ragazzino che diventa uomo, e prima chiede alla sua bella … «Fatti mandare dalla mamma… a prendere il latte…» e poi, nella consapevolezza di una coscienza più adulta, sa come raccontare la storia di «C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones». I ‘60 non passano poi tanto in fretta e c’è tutto il tempo per cucire addosso a Patty Pravo «La Bambola», racconto a parole ben scelte, di come le donne ancorché ragazze, non siano più disposte a subire il ruolo di subalterne e chiedano il rispetto che si deve offrire ad una persona, salvo poi, appena iniziano i ‘70, offrire alla stessa Patty quel gioiello letterario di «Tutt’al più», partitura magistrale in cui le sofferenze d’amore restano come graffi sul cuore «…tutt’al più mi offenderai e poi mi caccerai dicendomi che ormai non t’interessa più una ragazza che serviva solamente a divertirsi un po’… e allora me ne andrò e mi rincorrerai chiedendomi perdono e mi accarezzerai, ricorderai il mio nome e quello che c’è stato magari fosse vero…». Negli ‘80 avanza un gusto nuovo dove la sostanza sposa l’apparenza e l’ennesimo cambio di marcia richiede talenti giovani e Migliacci scopre Scialpi, ne diventa addirittura produttore, e gli affida «Rock’ n’ Rolling» e «Pregherei» consegnandolo così alla storia della musica leggera come icona di un’epoca.
Non sono un incidente di percorso le sempiterne «Tintarella di luna» o «Ma che freddo fa» ma l’indomito “paroliere” raggiunge il suo azimut prima con il testo di «Ancora» («perché io da quella sera non ho fatto più l’amore senza te e non me ne frega niente senza te…») con le voci spaziali prima di Eduardo De Crescenzo e successivamente di Mina, per poi tramutare un momento difficile in una rivalsa con «Uno su mille» del ritrovato Gianni Morandi.
Che belle storie, scritte con le parole giuste, volta per volta, anno per anno, frase dopo frase, una bella e preziosa dote difficilmente eguagliabile…
Grazie Franco… Buona domenica.
Mauro Coruzzi
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