il 23enne bangladese arrestato
Ora sembra pacato, tranquillo, come se più che il suo corpo in cella le sbarre di via Burla chiudessero i suoi fantasmi fuori, proteggendo finalmente lui e gli altri da sé stesso . Ma corrisponde davvero al suo stato d'animo la calma che si legge in volto a Rabbi Hosen, il 23enne bangladese arrestato mentre vagava senza meta dalle parti dell'ospedale, poche ore dopo l'omicidio del connazionale ventunenne Rabby Ahmed?
Difficile capirlo dalle parole, perché il giovane che secondo gli inquirenti ha sferrato la coltellata mortale lunedì sera a uno dei suoi coinquilini nell'appartamento della cooperativa Leone Rosso in via Faelli ha fatto scena muta di fronte al Gip durante l'interrogatorio di garanzia in carcere. Il suo silenzio richiama quello di chi non sa spiegarsi una vicenda che rappresenta una tragedia nella tragedia per quanto è assurda, scatenata da un raptus non annunciato da alcun litigio in un appartamento del Cas, con otto richiedenti asilo al suo interno. «Tutti ragazzi modello, educati, che volevano imparare l'italiano e che volevano lavorare» hanno sottolineato i responsabili della Leone Rosso.
Assistito dall'avvocato Matteo Bolsi, Hosen si è limitato a replicare alle domande obbligatorie, di prassi, per poi avvalersi della facoltà di non rispondere. «Troppo poco tempo è passato dai fatti» commenta il penalista. Forse, il giovane arrestato deve porre a sé stesso ancora troppe domande, per essere in grado di rispondere a quelle altrui. È come se la notte del delitto non fosse ancora finita: dura da chissà quanto, perché da giorni, il giovane dava evidenti segni di disagio psichico per il quale si era presentato anche al Pronto soccorso del Maggiore il 20 ottobre. Più ancora di quanto potrà raccontare agli inquirenti peserà sulla sua sorte giudiziaria ciò che gli specialisti diranno di lui. È quasi scontato che Hosen sarà sottoposto a perizia psichiatrica.
rob.lon.
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