40 ANNI DAL TERREMOTO
Dov'eri alle 17:29 del 9 novembre 1983? A distanza di quarant'anni, solo chi allora aveva pochi mesi o pochissimi anni non sa rispondere. Tutti gli altri sì e di getto: il prima, il mentre, il dopo, l'angoscia, i dettagli anche minuscoli del pomeriggio in cui Parma fu frustata da un terremoto di magnitudo tra il 6 e il 7 della scala Mercalli.
Quasi 10 secondi di terrore preceduti da un boato sinistrissimo proveniente dalla gola della terra. I vetri che traballavano rumorosamente e sembravano pronti a scoppiare, le pareti che oscillavano davanti agli occhi, il pavimento da cui sedie e poltrone venivano sbalzate in aria: per chi era in casa, soprattutto ai piani superiori, era difficile persino restare in piedi. Una città che nei minuti successivi si ritrovò nelle strade con la paura di una seconda scossa, i bambini in braccio, messasi in salvo come poteva. A passare lo sguardo tra la terra e i tetti, da dove cadevano coppi, mattoni, calcinacci, più o meno larghe si aprivano le crepe, pericolanti i comignoli.
Epicentro Sala Baganza, il terremoto fu sentito in tutto il Nord Italia e qui mise in ginocchio soprattutto l'Oltretorrente e il centro storico, dove le abitazioni - lo sì capì ampiamente durante i sopralluoghi successivi- avevano forti fragilità strutturali. Non ci furono miracolosamente vittime, ma feriti sì: una sessantina, soprattutto persone colpite da ciò che cadeva dalle costruzioni lesionate. E poi i danni al patrimonio storico e artistico e a diverse chiese: dal Duomo di Parma al Teatro Regio, che stava per inaugurare la stagione lirica e dovette trasferirla al Teatro Ducale.
«Quel giorno ero a casa e quando ho sentito tutto tremare, ho preso mia figlia di un anno e una coperta e siamo usciti. Ma non avevamo avuto subito la percezione di quello che era realmente accaduto, e per giorni è rimasta una percezione parziale», racconta Stefano Storchi, l'architetto che fu responsabile dell'Ufficio Terremoti. «Coordinati dalla Prefettura, svolgevamo sopralluoghi con squadre abbastanza improvvisate di tecnici che come me non sapevano nulla del terremoto: basti dire che andavamo a fare verifiche nei singoli alloggi in cui erano segnalati danni e non agli interi edifici in cui erano inseriti - ricorda - . Per 10 giorni la situazione è stata caotica, poi quando ha preso la direzione delle operazioni il Comune, si è riorganizzata tutta la macchina anche con professionisti dell'Ordine degli architetti e degli ingegneri che si erano disponibile ed erano arrivati da tutta la regione». Il numero finale fu di 5.212 sopralluoghi negli alloggi di 1.081 edifici, con 497 abitazioni dichiarate inagibili e 1.166 persone evacuate e per cui trovare un tetto. Tanto che già il giorno dopo il Governo assegnò al sindaco Lauro Grossi l'autorità per reperire alloggi sfitti anche attraverso la requisizione. Una decisione che venne effettivamente attuata - anche se i casi non sono molti - l'11 dicembre, pur in un clima di tensione. E di amarezza: «Durante una delle nostre riunioni Grossi si lasciò andare e disse: “Non l'avevo messo in conto che come amministratore pubblico avrei ricevuto anche minacce che riguardavano i miei figli».
Anche l'assessora alla Rigenerazione Urbana Chiara Vernizzi ricorda bene dov'era quel giorno: «In centro a aspettare delle amiche, appoggiata a un muro. Ho in mente la paura e la confusione che c'è stata: ci siamo riversati in strada e abbiamo poi cercato tutti di telefonare a casa intasando la Sip all'interno del Palazzo del Governatore». Dove ieri quella memoria è stata ricordata per parlare (vedi l'articolo sotto, ndr.) di futuro, «di riflettere di gestione dell'emergenza e soprattutto di prevenzione».
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