BAREZZI FESTIVAL
La prima delle due serate al Teatro Regio del Barezzi Festival (la seconda questa sera alle 20.30 con i Blonde Redhead) ha idealmente riportato il calendario musicale indietro di circa 35 anni grazie al concerto dei Jesus and Mary Chain dei fratelli William e Jim Reid, rispettivamente chitarrista e cantante.
Eravamo attorno alla metà degli anni ‘80 e le classifiche erano dominate da musica di plastica e dal pop di facile vendita. Erano però anche gli anni degli Smiths, degli U2 dei dischi migliori, dei primi R.E.M., dell’hip hop che iniziava a farsi strada, letteralmente. Sopra si osteggiava un finto lusso e sotto covava una realtà viva e pulsante che sarebbe esplosa negli anni ‘90. In quel periodo, i Jesus and Mary Chain iniziavano il loro percorso dando inconsapevolmente il via a un’attitudine che poi sarebbe diventata un genere musicale: lo shoegaze, il “rimirarsi le scarpe”, non per osservarne la bellezza ma per descrivere come i chitarristi fossero più attenti alla pedaliera degli effetti che a tutto il resto. La prerogativa che ha lanciato il gruppo di Glasgow era infatti il muro di effetti, distorsioni e rumori che andava a rivestire le canzoni. I concerti di quegli anni sono ricordati più per il contorno che per la musica stessa: esibizioni di 15 minuti con le spalle alla platea, risse col pubblico, risse tra loro…
A distanza di anni, tutto questo è passato e ora quel che resta è l’essenza, vale a dire la musica. Sono le canzoni, infatti, che ancora oggi fanno dei Jesus and Mary Chain un gruppo da ascoltare. E in tanti, ieri sera, non si sono fatti sfuggire l'occasione di ascoltare i fratelli Reid (e la loro band) nell'unica data italiana di questo tour. E tanta attesa è stata ripagata nel modo migliore. Il trittico iniziale fine anni ‘80 “Blues from a gun” / “Head on” / “April skies” ha fatto subito sentire il solito sound secco, scarno, potente. Poi, dopo “Between planets” ecco “Amputation” da “Damage and joy del 2017 a ricordare a tutti che il sound può essere aggiornato lasciando immutato lo spirito resta. Il concerto è proseguito pescando da tutti i loro album, con un pubblico sensibilmente coinvolto ma ugualmente redarguito dal palco: “Siete troppo tranquilli”. E quindi tutti in piedi da “Darklands” e per i bis, arricchiti dalla voce della cantante italiana Marta Del Grandi per “Sometimes Always” e “Just like Honey”. Chiusura col muro di suono di “I hate rock'n'roll” e “Reverence” per ricordare a tutti che si può fare musica anche ricoprendo la voce di rumore e distorsioni elettriche e che di questo tipo di musica loro sono i precursori.
Pierangelo Pettenati
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