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Intervista

Pertusi: «La Scala, l'imprevisto alla voce e la forza di concludere la serata»

Pertusi: «La Scala, l'imprevisto alla voce e la forza di concludere la serata»

di Vittorio Testa

09 Dicembre 2023, 03:01

Muniti di carta, penna e telefono eccoci dall’afono e simpatico basso Michele Pertusi, per costrizione medica obbligato a stare zitto almeno fino a domani, dopo il malessere orale capitatogli nel corso del «Don Carlo» scaligero, nel ruolo di Filippo II.

Ma cosa è successo? È la prima volta in quasi 50 anni di scintillante carriera?
«No. Mi era successo qualcosa di simile a Londra qualche anno fa - scrive al computer l’artista parmigiano allievo prediletto di Carlo Bergonzi. Stavo cantando nella “Semiramide” di Rossini e dopo la prima scena ho perso la voce. La recita l’ha continuata un mio collega, ma era qualche giorno che non stavo bene. Qui in Scala invece è stato tutto abbastanza repentino».

Cosa è successo?
«Un raffreddore che si è improvvisamente abbassato mentre cantavo il primo atto. Avevo avuto qualche avvisaglia la sera prima e soprattutto la mattina stessa del 7 dicembre, mi è capitato spesso di avere qualche problema al mattino e cantare bene la sera: sicché non mi pareva un problema tale da crearmi difficoltà in recita. Tant’è vero che in camerino avevo scaldato la voce in modo del tutto normale e i suoni sembravano a posto».

C’è una diagnosi medica?
«Sul foglio della dottoressa della Scala c’è scritto ‘rinofaringite catarrale’ se la memoria non mi tradisce». Quando si è accorto che c'era qualcosa di grave?

«Un minuto prima di entrare per la scena finale del primo atto che sfocia con il grande duetto con il baritono. Ho sentito movimenti strani fra naso e gola e mi sono accorto di avere qualcosina di poco piacevole che scendeva sulle corde vocali. Poi durante il citato duetto non sono riuscito ad emettere alcune note come avrei voluto e i suoni hanno iniziato a “sporcarsi”, come si dice in gergo».

Cosa ha pensato?
«Che proprio a me, famoso per avere una salute di ferro, e proprio in occasione del mio primo Sant’Ambrogio doveva succedere di ammalarmi?».

Ha pensato che il pubblico avrebbe potuto fischiarla o comunque manifestarle dissenso o disapprovazione?
«Sì certo, in linea teorica poteva essere messa in conto una reazione avversa da parte del pubblico ma gli appassionati della Scala in questi anni di frequentazione mi hanno sempre dimostrato affetto e sostegno: una certezza, questa, e un fatto che mi ha consentito di captare la comprensione degli spettatori, avvertita proprio mentre soffrivo in scena. Evidentemente, dopo tante recite su quelle tavole scaligere, la gente ha voluto farmi sentire la sua vicinanza in un momento difficile. E’ stata una cosa confortante e commovente. E io sarò sempre grato al pubblico della Scala per questa stupenda prova di amicizia e di stima che ha voluto riservarmi».

Ha avuto paura? Si è detto: «Qui rischio la carriera»?
«No, queste cose capitano spesso, fanno parte del gioco. Difficilmente si rischia la carriera per una serata in cui si è indisposti, anche se c’è di mezzo l’inaugurazione del Teatro più importante al mondo».

Dove ha trovato questa forza d'animo?
«Gli stimoli per continuare la serata, per condurre a termine l’impegno che hai preso con il pubblico e il Teatro, li trovi anche nella solidarietà che ti dimostrano i colleghi. Ho la fortuna di far parte di un cast molto affiatato e tutti hanno cercato di darmi il coraggio e la forza per proseguire. Per questo ringrazio tutto il cast, ma anche il coro, i direttori di scena e ultima ma non ultima la direzione artistica del Teatro alla Scala che, con lucidità e pazienza, ha saputo gestire al meglio una situazione che poteva anche diventare problematica. Il sovrintendente Meyer è uscito fuori sipario per annunciare al pubblico la mia indisposizione e questo mi ha aiutato a, come dire?, a superare la voglia di tornare a casa. Ma è stato soltanto un attimo disciolto dall’affetto che percepivo … Anche il M° Chailly mi ha dimostrato la sua vicinanza che umanamente ho molto apprezzato. In fondo devo ringraziare tutti coloro che hanno condiviso con me questi momenti difficili».

Uno spavento anche per i suoi famigliari…
«Tra il pubblico c’era anche mia moglie che assisteva per la prima volta a una serata d’inaugurazione della stagione scaligera. Capirà che non potevo certo deluderla, rovinarle una di quelle occasioni da incorniciare».

Ha pregato Dio o qualche Santo?
«No. Non sono particolarmente legato a queste abitudini o regole di fede».

Ha un portafortuna?
«Men che meno… non sono per niente superstizioso. Anzi dicono che porti male…».

Ho parlato con Marco Bergonzi che ha conservato il «gobbetto corno scacciajella» del padre, il grande Carlo suo maestro ammiratore e addirittura compagno di palcoscenico, lui 62 anni e lei 21, in una «Luisa Miller» nel 1986 a Busseto
«Sì, Marco mi ha dato la fotografia dell’amuleto. Lui e il fratello Maurizio e la signora Adele sono sempre stati molto carini e gentili con me».

Bene. Auguri vecchia roccia roccia d'un «pramzàn dal sass».
«Grazie. Spero di riprendermi al meglio per le prossime recite».

Vittorio Testa

© Riproduzione riservata

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