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Lo spiega il neurochirurgo Pietro Mortini

«Tornare a camminare dopo la paralisi? Ora si può»

«Tornare a camminare dopo la paralisi? Ora si può»

di Andrea Del Bue

28 Dicembre 2023, 03:01

Da una carrozzina a una passeggiata sulle proprie gambe: ora si può.

Sono tre in Italia le persone che hanno potuto sperimentare una tecnica innovativa di neurochirurgia che ha permesso loro, attraverso l’impianto di un neurostimolatore midollare, di tornare a camminare.

Qualche centinaio di metri, sostenuti da un deambulatore, fino a una passeggiata in montagna con le stampelle, dopo anni seduti. Una rivoluzione, grazie alla tecnica sviluppata da un team di neurochirurghi dell’Irccs Ospedale San Raffaele, guidato dal professor Pietro Mortini, primario di Neurochirurgia e ordinario dell’Università Vita-Salute San Raffaele.

E il professor Mortini che vanta una prestigiosa carriera internazionale (è anche Clinical Professor of Neurological Surgery alla George Washington University di Washington D.C.) ha un legame particolare con Parma: si è laureato infatti nel nostro Ateneo, nel 1986, in Medicina e Chirurgia, con lode e menzione d’onore.

Professore, si può quindi dire che c’è la speranza di poter tornare a camminare per chi oggi non può a causa di una lesione midollare?

«Sì. I risultati, in questi tre primi pazienti, di una sperimentazione che ci consentirà di applicare questa tecnica a un totale di dieci persone, ci dicono con chiarezza che si può tornare a camminare: magari con l’ausilio di un deambulatore, delle stampelle o di un’ortesi, ma si può. I filmati dei pazienti che dopo l’intervento e la riabilitazione fanno una passeggiata nei corridoi, o percorrono un sentiero in montagna, parlano da soli, sono autentici. Però, attenzione: siamo solo all’inizio. Quindi dobbiamo parlare sottovoce, perché il futuro non possiamo prevederlo. Ma i miglioramenti a livello neurologico, per chi si sottopone a questo tipo di intervento, sono evidenti».

Qual è l’identikit del paziente che può raggiungere risultati soddisfacenti con il metodo che applicate?

«Chiunque abbia subito una lesione traumatica del midollo, più o meno grave. In futuro vorremmo sperimentarci anche sulle problematiche dovute a malattie infiammatorie, come mieliti, o a emorragie midollari. Più avanti anche le lesioni del midollo spinale esiti stabilizzati di malattie neurodegenerative, come la sclerosi multipla. È la nostra speranza».

E la speranza di migliaia di malati. Quanta cautela si deve avere nel comunicare certi risultati?

«La cautela non è mai abbastanza in questi casi. Ma il lavoro che stiamo facendo è totalmente scientifico, serissimo e con la massima trasparenza. Tra l’altro, l’intervento chirurgico in sé è molto sicuro, perché è un adattamento di un sistema utilizzato da trent’anni per la cura del dolore cronico. La novità è poter intervenire adattando l’intervento alle caratteristiche del singolo paziente, grazie a una collaborazione, unica al mondo, tra noi neurochirurghi e un gruppo di ingegneri dell’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, diretto dal professor Silvestro Micera, esperto di fama internazionale. Ci tengo a dirlo: in Italia abbiamo figure professionali di altissimo livello. Si tratta di cervelli una volta in fuga, che siamo riusciti a far rientrare. E stiamo facendo qualcosa di impensabile fino a qualche anno fa, con la più che ragionevole certezza di portare beneficio ai pazienti».

Ci sono state tante illusioni in passato sul tema del ritornare a camminare dopo un trauma spinale.

«Sì, con pazienti non solo illusi, ma direi cannibalizzati da medici che forse hanno giusto la laurea, ma non possono essere definiti tali, che chiedevano tantissimi soldi per viaggi inutili in Cina o in Serbia, per cure miracolistiche praticate senza alcun fondamento scientifico, col solo fine di monetizzare e approfittare dello stato di salute del paziente. Lo sappiamo. Per questo a breve pubblicheremo i nostri risultati, non tanto per l’onore, quanto per l’onere della responsabilità di quanto stiamo facendo. Non promettiamo nulla, ma siamo di fronte a un’evidenza: tre persone che sono arrivate da noi in carrozzina hanno poi camminato lungo il corridoio del nostro Istituto».

Quanto costa l’intervento?

«Al paziente, nulla. La sperimentazione, fino a un massimo di dieci impianti, è interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Lo ripeto: stiamo parlando di un settore di ricerca avanzatissimo, serissimo e all’insegna della massima trasparenza. Per questo siamo alla ricerca di finanziamenti istituzionali o privati totalmente dedicati a questo progetto di sviluppo».

Vi sentite dei pionieri?

«I pionieri erano talvolta degli avventurieri, noi preferiremmo essere definiti degli innovatori. Non solo da un punto di vista tecnico, ma anche organizzativo. Stiamo parlando di due Università importantissime, con fondamenta scientifiche solidissime, e di risultati verificabili. Più che pionieri, ci sentiamo come quegli aviatori che per primi hanno fatto voli da una costa all’altra degli Stati Uniti, oppure transoceanici, arrivando con ancora parecchia benzina nel serbatoio. Esploriamo l’inesplorato, ma su basi scientifiche, quindi con metodo e calcolo».

Che ricordi ha di Parma e degli anni di studio trascorsi qui? Torna ogni tanto?

«Sono stati anni formidabili di formazione. Sono molto legato alla città e alla sua Università, che è certamente prestigiosa e che costituisce una buona grande tradizione accademica del nostro Paese. Nel mio corso di laurea, su 418 iscritti, fummo a laurearci in corso soltanto in 16, a testimonianza del grande livello selettivo di quegli studi. La preparazione all’Ateneo di Parma mi ha portato in tutto il mondo senza che mi sentissi mai in difetto da un punto di vista della conoscenza. Non a caso è una delle Università più antiche del mondo. Parma è un pezzo della mia vita, oltre a essere una città stupenda, già piccola capitale di uno Stato dalle bellezze artistiche e non solo uniche nel loro genere. Ci torno spesso, più volte all’anno, per portarci gli amici che non l’hanno mai visitata. E ritrovo ogni volta una città in cui si vive molto bene e piena di fascino».

Andrea Del Bue

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