Parmalat
Georgia Azzali
Il dicembre nero. La grande ombra cominciò ad allungarsi con quel fax arrivato nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2003 nella filiale milanese della Grand Thornton, la società di revisione di Parmalat. Un messaggio di Bank of America: «Non esiste alcun rapporto con Bonlat e l'estratto conto del 6 marzo 2003 è falso». Il de profundis per la multinazionale di Collecchio, si scoprirà di lì a poco. E dieci giorni dopo quel fax Calisto Tanzi finì in manette: arrestato a Milano, di ritorno da un viaggio in Ecuador in parte ancora avvolto nel mistero.
La liquidità fantasma
L'inizio del crollo di un marchio leader dell'agroalimentare nel mondo. La fine di un mito per Parma. Quel buco da 14 miliardi in cui verrà risucchiata Parmalat. Il più grande crac della storia europea. Ma da una decina d'anni l'azienda era decotta, basata su una finanza di carta, scopriranno le procure di Parma e Milano.
Ma Parmalat era una galassia. Molto più del food e sicuramente troppo: il calcio, quello dell'epoca champagne, e il turismo, il settore che più di ogni altro ha portato a fondo l'impero. Così, bastò poco per accorgersi che la liquidità di 4 miliardi era inesistente, ma poi emerse anche che la contabilità del gruppo era taroccata da anni.
La coppia T&T
Le responsabilità? Della coppia T&T, appureranno poi i giudici. Del patron Calisto Tanzi, ma anche di Fausto Tonna, lo stacanovista direttore finanziario della società. Il ragionier Fausto, però, è anche l'uomo che ha consentito agli inquirenti di penetrare nei segreti dei conti di Parmalat, una «collaborazione» che gli hanno riconosciuto anche i giudici della Cassazione. Tuttavia, nonostante Tonna conoscesse ogni ingranaggio della macchina aziendale, «è altrettanto pacifico che il suo potere era ridimensionato dal fatto di essere secondo solo a Tanzi che rimaneva il punto finale, se non addirittura esclusivo, di riferimento per qualsiasi disposizione», aveva precisato la Corte d'appello.
Processi e condanne
Il cavaliere, l'uomo che con intuito e tenacia era riuscito a trasformare il piccolo salumificio di famiglia in un colosso. Fino a quando, negli anni '90, con la quotazione in Borsa, soprattutto, erano cominciati i primi guai. E i primi magheggi per aggiustare i conti. Tanzi è morto nella notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio 2022, a 83 anni, ma aveva già accumulato una lunga serie di condanne: dall'aggiotaggio, portato avanti a Milano dal pool guidato da Francesco Greco, ai vari filoni parmigiani, a partire da quello principale sulla bancarotta della multinazionale, che venne discusso a dibattimento dal pm «storico» di Parmalat, Vincenzo Picciotti, e dalle colleghe Paola Reggiani e Lucia Russo. In totale, considerando il calcolo effettuato dalla Corte d'appello, che aveva fatto il cumulo delle condanne applicando la continuazione, l'ex patron avrebbe dovuto espiare 25 anni, scontati di 3 grazie all'indulto di cui hanno beneficiato tutti i condannati del caso Parmalat. Ma dal marzo 2013 Tanzi aveva ottenuto i domiciliari per gravi problemi di salute: in ospedale fino alla primavera del 2014, poi a casa, nella villa di Fontanini. In carcere era rimasto per circa nove mesi in custodia cautelare, tra il 2003 e il 2004, e poi era tornato dietro le sbarre il 5 maggio 2011, quando era diventata definitiva la condanna per l'aggiotaggio a 8 anni e 1 mese, restandovi fino al 7 marzo 2013.
Numeri uno e comprimari
In 56, tra amministratori e dirigenti, banchieri e bancari e revisori dei conti, erano finiti davanti ai giudici parmigiani del maxi dibattimento, ma poi il processo era stato suddiviso in cinque filoni differenti. Nel procedimento principale per la bancarotta, dopo alcuni rimbalzi tra Cassazione e Corte d'appello, a Tonna erano stati affibbiati 6 anni, 9 mesi e 16 giorni. Ma nell'elenco dei condannati in via definitiva per la bancarotta ci sono altri noti nomi parmigiani, tra cui: Giovanni Tanzi, il fratello di Calisto (10 anni e 2 mesi), Domenico Barili (7 anni e 8 mesi) Luciano Silingardi (5 anni e 9 mesi), tutti e tre scomparsi nel frattempo, e Giovanni Bonici (4 anni e 10 mesi), mentre l'ex presidente di Banca Monte, Franco Gorreri, aveva patteggiato 4 anni e 10 mesi.
Il ruolo delle banche
Certo, anche la banche sono finite sotto processo. Ma i risultati, dal punto di vista dell'accusa, spesso non sono stati confortanti. Per quanto riguarda la bancarotta, i manager e dirigenti di Morgan Stanley e Deutsche Bank erano stati assolti a Parma. Gli otto imputati di Citibank decisero invece di patteggiare (pene sospese). Il processo agli uomini di Bank of America, che si è trascinato per anni, visto il continuo cambio di giudici, si è concluso in primo grado solo nel giugno 2022 con tre condanne pesanti, tra cui quella a 7 anni per Luca Sala. Per quanto riguarda il filone Ciappazzi, l'ex presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, è stato condannato a 4 anni e 6 mesi, un anno in meno per l'ex ad Matteo Arpe. A Milano, invece, tutte assolte le banche straniere, accusate di aver dato false comunicazioni al mercato per gonfiare il titolo Parmalat.
I risparmiatori traditi
E i risparmiatori? Sono stati oltre 145mila i danneggiati dal crac. Difficile avere un quadro generale, perché non è stato possibile costituire una class action. Secondo le associazioni di consumatori, i 70-80mila risparmiatori coinvolti hanno recuperato solo il 50% dei 7 miliardi investiti. E le parti civili costituite al processo hanno enormi difficoltà a ottenere i risarcimenti. Il commissario straordinario Enrico Bondi, il grande ristrutturatore che riuscì a salvare l'azienda dal baratro dopo il default, aveva distribuito le azioni della nuova Parmalat in cambio dei bond diventati carta straccia. Ma gli obbligazionisti più fortunati erano riusciti a recuperare non più del 50%. La strada che ha invece soddisfatto almeno in parte i risparmiatori è stata quella delle transazioni con le banche. In particolare, i 32mila del Comitato Imi-San Paolo, rappresentati ai processi dall'avvocato Carlo Federico Grosso, sono riusciti a recuperare il 70-75% di quanto investito.
L'azienda è sopravvissuta. E poi è diventata francese. Ma troppe connivenze e miopie hanno fatto sì che Parmalat potesse sopravvivere per anni pur essendo già sull'orlo del baratro. I controlli sui conti e sulla gestione hanno fatto acqua. E pensare che la società nel paradiso fiscale del Delaware, formalmente fondata da Citibank ma al servizio del gruppo di Collecchio, si chiamava Buconero. Sembrò una beffa. Era un presagio.
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