Editoriale
Inutile girarci intorno. Quello di oggi, sarà un Giorno della Memoria diverso da tutti gli altri che lo hanno preceduto. Sporcato dall’idea - o dal dubbio - che i nuovi nazisti siano gli ebrei! Non i diavoli di Hamas, autori il 7 ottobre scorso del più spaventoso pogrom compiuto dopo la fine del Secondo conflitto mondiale: 1.200 individui di ogni sesso ed età, in stragrande maggioranza civili, aggrediti, scannati, decapitati, stuprati e bruciati vivi (compresi alcuni neonati infilati nei forni a microonde, più moderni e di facile utilizzo di quelli in funzione ad Auschwitz). Quelli che oggi denunciano le distruzioni e le perdite umane enormi inflitte da Israele alla popolazione di Gaza, dovrebbero spiegare il proprio silenzio tombale sulla carneficina che le ha innescate. Come pure sulle violenze inenarrabili a cui sono sottoposti i 132 ostaggi tenuti ancora prigionieri in un tunnel e usati come schiavi sessuali - senza distinzione fra donne e uomini - dai loro infami carcerieri.
Proprio oggi, a Roma, si sarebbe dovuto svolgere un corteo pro-Palestina nella cui convocazione si legge fra l’altro che «il 27 gennaio è la tomba della verità e della giustizia». Tesi che più «negazionista» di così non si può e a sostegno della quale viene citata perfino una frase di Primo Levi: «Se comprendere è impossibile conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare». Un osceno sberleffo retorico confezionato ad arte per ribaltare la storia della Shoah e sdoganare l’antisemitismo fornendogli la «copertura» di uno dei maggiori intellettuali ebrei del secolo scorso. Su iniziativa del governo, il corteo è stato poi differito (non vietato) ad altra giornata. Ma un suo «assaggio» si era già avuto una settimana fa, alla Fiera dell’Oro di Vicenza, allorché un folto gruppo di manifestanti sventolanti la bandiera palestinese e armati di bastoni si erano scontrati con le forze dell’ordine mandando all’ospedale 11 poliziotti, uno dei quali colpito con una bomba carta. E tutto questo perché, fra gli oltre 1.300 espositori della più importante vetrina orafa e del gioiello d’Europa, ve ne erano due - dico due! - provenienti da Israele. Delle tante dichiarazioni di condanna che ne sono seguite, citerò solo quella del deputato Pd, Piero Fassino: «Ciò che è accaduto a Vicenza indica quanti danni stiano producendo la criminalizzazione di Israele e la diffusione di pulsioni antisemite e antiebraiche verso cui è colpevole e inescusabile ogni forma di passività». La si potrebbe anche chiudere qui, se non dessi nuovamente per scontata la replica dei soliti «Noi non ce l’abbiamo con gli ebrei, ma con chi li governa». Neppure a me è mai piaciuto Netanyahu. Lo considero anzi una vera iattura in primo luogo per Israele, come tragicamente confermato proprio dall’eccidio del 7 ottobre che Netanyahu non è stato capace di prevenire e di cui quindi è politicamente e moralmente corresponsabile. Ma ricordato che se gli israeliani votassero domani per lui non ci sarebbe scampo, qui occorre intendersi su un punto ben più fondamentale. E cioè se Israele abbia o no il diritto pieno, incontrovertibile e come tale immutabile nel tempo di esistere. Sapendo che stiamo parlando di uno Stato sorto 76 anni fa per dare una casa e un rifugio sicuri a tutti gli ebrei scampati al piano di sterminio totale attuato nei loro confronti da Hitler e avallato, quando non attivamente sostenuto, dai suoi alleati. Mussolini, ovviamente, incluso. Ma incluso anche il Gran Mufti (la più alta autorità religiosa musulmana) di Gerusalemme che, dopo avere reso reverente visita sia al Duce che al Führer, promosse l’arruolamento di circa 100mila palestinesi nei ranghi delle Waffen-SS e della fascistissima «Legione straniera» italiana in Nord Africa. Chi conosce davvero la Storia e non la usa a fini di parte, sa o dovrebbe sapere che sempre 76 anni fa, insieme allo Stato ebraico, sarebbe dovuto nascere anche uno Stato palestinese. Che non vide la luce per la semplice ragione che le nazioni arabe confinanti preferirono attaccare il neo nato Stato di Israele con il deliberato intento di spazzarlo via e di ricacciare tutti gli ebrei nel Mediterraneo da cui erano arrivati (anche se sarebbe più corretto dire «tornati» essendo Israele come insegna anche la Bibbia la loro patria millenaria). Lo stesso obiettivo, questo sì «genocidario» ed evocato anche nello slogan «Una sola Palestina dal Giordano al mare», perseguito da Hamas e dal suo padrino iraniano. Quanti lo nascondono o fingono di non saperlo non solo legittimano l’antisemitismo più rivoltante e becero. Ma fanno il male degli stessi palestinesi, che solo con la nascita di quei famosi «due Stati» potranno a loro volta liberarsi dalla maledizione di eterni «senza patria». Lo stesso si potrebbe dire degli autori delle scritte «W Hitler» e «Fuck Israele» spuntate ieri mattina sul Memoriale della Shoah di Milano. Del plauso entusiastico riservato dal regista Gabriele Muccino ai deliri social secondo cui le vittime del 7 ottobre sarebbero state fatte dai militari israeliani. O di chef Rubio, fermato con 5 litri di sangue animale in una tanica mentre andava a un sit-in anti Israele . Tutta gente che non parteciperebbe mai all’unico corteo che invece avrebbe potuto illuminare questo 27 gennaio così diverso da tutti gli altri. Un lungo e silenzioso corteo per dire no al ritorno di qualunque forma di antisemitismo e per chiedere a Israele di non negare a un altro popolo discendente anch’esso da Abramo il diritto ad avere uno Stato. Più o meno gli stessi concetti espressi alla vigilia dell’odierno Giorno della Memoria dal presidente Mattarella. Potranno anche sembrare dei discorsi utopici. E a questo proposito sarà il caso di aggiungere che Hamas non accetterà mai la soluzione dei «due Stati» dato che con essa finirebbe la sua stessa ragione di esistere. Ma la strada per un futuro di pace e di sicurezza in Terra Santa, molto più che dalle sentenze della Corte dell’Aia delle Nazioni Unite (terremotate dalle accuse di un coinvolgimento di alcuni membri del suo staff a Gaza nel pogrom del 7 ottobre), passa da lì.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata