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La «belle époque» delle latterie: quando i lattai facevano le consegne mattutine

La «belle époque» delle latterie: quando i lattai facevano le consegne mattutine

di Lorenzo Sartorio

19 Febbraio 2024, 03:01

Qualche anno fa, e non è uno scherzo, ad un bimbo delle elementari fu chiesto chi faceva il latte. La ri-
sposta fu di una
simpatia, di un candore esemplari: «la Parmalat». Lo scolaro aveva ragione da vendere e la riposta poteva essere esatta, mancava però un «piccolo» particolare, ossia, che il latte lo fanno le mucche. Potere della pubblicità, dei social e dell’ormai celebrata «intelligenza artificiale».

Adesso, come si sono messe le cose, speriamo che un bimbo o una bimba, una volta chiesto loro chi fa il latte, non rispondano che lo si fa artificialmente, e, cioè, in laboratorio. Orrore! Un bambino di ieri che, invece di giocare con il computer ed il cellulare, maneggiava fionda e sinalcoli, sicuramente avrebbe saputo che il latte lo facevano le mucche ed il formaggio lo faceva in casaro. Sapete perché? Perché i nonni di allora le nostre tradizioni le conoscevano e le trasmettevano ai nipoti ed inoltre la cultura contadina non era, come oggi, un oggetto misterioso specie per i giovani. Ma ritorniamo ora al nostro caro- vecchio latte: il latte parmigiano. Per acquistare l’«oro bianco» delle nostre stalle, oggi, non ci sono problemi. E’ sufficiente entrare in un qualsiasi supermercato, accostarsi al banco dei «freschi» e, lì, ci sono tutte le qualità di latte che uno desidera, di tutte le provenienze (di montagna, di pianura e di collina), nelle più strane confezioni, a lunga e lunghissima durata, fresco, grasso, magro, magrissimo, terapeutico, vitaminico e chi più ne ha più ne metta. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Inoltre, da qualche tempo, in città, sono stati installati distributori automatici dove una persona può «mungere» latte fresco di campagna di primissima qualità. Insomma, ce n’è per tutti i gusti ma, soprattutto, il latte è davvero a portata di mano. Fino agli anni Ottanta esisteva la figura del lattaio che, con il bottegaio, l’ortolano ed il postino, rappresentava un po’ il simbolo del quartiere. Anche perché, dal lattaio, si davano appuntamento i ragazzi per il solito sorbetto pomeridiano o per i ghiaccioli che, appunto fino agli anni Ottanta, rappresentarono l’emblema delle estati di ieri. E poi, dal lattaio, si poteva incontrare la ragazzina del cuore, al tal orario, proprio coniugando la popolare canzone di Gianni Morandi. Nel negozio del lattaio si vendevano esclusivamente latte ed i suoi derivati: formaggi duri e teneri, ricotta, ma anche dolcetti e gelati. Comunque, la cosa più simpatica che ricorderanno certamente gli «over anta», era il modo ed i mezzi con i cui i lattai di ieri recapitavano il latte a casa dei clienti. Innanzitutto, al contrario di adesso, esisteva un solo un latte: quello davvero straordinario della «Centrale» di via Viotti. Alla mattina, ad orari antelucani, i camion azzurro- cielo, che recavano sul tetto della cabina la scritta argentea «Centrale del Latte», recapitavano le gabbiette metalliche contenenti le bottiglie da un litro, mezzo litro, un quarto dinanzi al negozio del lattaio che, quando si alzava, aveva cura di riporlo all’interno della sua bottega.

I camion della «Centrale», quando partivano da via Viotti e si irradiavano per tutta la città, emettevano tutti lo stesso rumore, ossia quel familiare tintinnare delle bottiglie di vetro a contatto con le gabbiette zincate mentre, chi abitava nei pressi dei negozi dei lattai, non può non ricordare il rumore delle saracinesche dei camion che si alzavano e si abbassavano per consentire all’autista di scaricare la nivea merce. Al lattaio, spettava poi il compito di recapitare il latte a casa della gente, operazione che effettuava con un trabiccolo di legno, rigorosamente smaltato bianco, che poggiava su di un triciclo a pedali per spingere il quale era necessario possedere una forza notevole nelle gambe specie quando le strade presentavano una leggera salita, mentre il freno veniva azionato con un pedale posto al centro del trabiccolo. Le bottiglie di latte erano racchiuse da capsule in stagnola di diverso colore. Se la capsula era argentea la bottiglia, a costoni di vetro, conteneva latte normale, se era gialla latte grasso, se era verde latte magro. Comunque, al di là della colorazione delle varie capsule, era latte vero ma, soprattutto, di stalle nostrane. Il latte che proveniva dall’ estero, a quei tempi, non risiedeva nemmeno nei sogni dei più fantasiosi. Nella bottega del lattaio, i ragazzi anni sessanta, potevano acquistare, per «quindici lire», i «cremifrutto Althea» che prevedevano nella loro rettangolare confezione un raro francobollo, i cremini della «Ferrero» sul cui lato erano incollate le figurine dei più noti personaggi di Walt Disney, mentini colorati, fette di salame di cioccolato e nocciola lontano parente della «Nutella», i primi chewingum, a forma di palline colorate, al gusto non ben definito di frutta, pasticche bianche alla menta e al pino contenute in grossi vasi di vetro con coperchio in alluminio appannati da un velo zuccherino e, infine, i gelati molto autarchici ai pochi gusti allora di moda: crema, cioccolato, nocciola, limone e fragola. Mentre i lattai più attrezzati cominciavano a tenere i contenitori con gli ambitissimi gelati Tanara («fiordilatte» e «ricoperto al cioccolato»). Sempre dai lattai, si potevano acquistare le bibite allora più gettonate: aranciata, chinotto, spume ai vari colori e cedrate. Specie in estate, quando le bibite erano maggiormente richieste, i ragazzini mendicavano al lattaio manciate di sinalcoli che, opportunamente «infarciti» con faccina del corridore del cuore e cerchietto di vetro tenuto fermo dallo stucco, servivano per effettuare lunghissime gare su piste disegnate con il gesso che si snodavano lungo i marciapiedi, sui muretti e nei cortili. Alcune indimenticabili figure di lattai parmigiani furono Adelchi Mori e la moglie Graziella ai quali, nell'antica latteria n° 45 di via Racagni, subentrò una brava famiglia di origini piacentine ed infine il mitico Donnino Fattori e la moglie Celestina. Invece per quella fettina di Parma antica immersa tra i borghi Tommasini, Riccio, San Silvestro, Antini, Ezio e Anita Bianchi, furono personaggi, quasi leggendari ma, soprattutto, conosciuti ed amati dai tanti clienti che frequentavano la storica «Latteria 61» di borgo Riccio - angolo borgo Giacomo. E come non ricordare con piacere goloso le torte, le natalizie spongate, i tortelli di marmellata, le brioche, le famose pesche dolci arabescate di alchermes di Anita e dalla mamma Aurora, oppure le ottime pizze di Ezio? Altri lattai storici furono gli adorabili Carlo e Laura Mantovani titolari della popolarissima «Latteria 65» di Via D’Azeglio, l’indimenticabile gentiluomo Italo Biondi sempre presente con la moglie nella latteria di via XXII Luglio e l’estroverso «Giango» Cottafavi dietro il banco, con la moglie Maria, del suo bar-latteria in Strada Nuova. La «Centrale del latte», inaugurata nel maggio del 1934 e demolita ai primi di luglio del 2006, quando sorse, era una vera e propria cattedrale nel deserto. In una nascente via Viotti, circondata da campi di frumento ed erba medica e dalle poche villette che punteggiavano un agreste via Torelli ed un autarchico viale Duca Alessandro, immersa nella grassa campagna, la «fabbrica del latte», era il sinonimo della genuinità di quel prodotto che giornalmente lavorava e confezionava e, che per sua natura antica, finiva sulle mense di tutti: poveri e ricchi, giovani e vecchi. Negli anni sessanta la «Centräla» divenne pure un luogo mondano grazie ad una gelateria alla moda che vide all’opera i coniugi Carlo e Gabriella Gazza. In virtù del loro gelato (specie quello alla crema davvero inarrivabile fatto con il… latte della «Centrale») in una posizione allora decentrata ma elegante, la gelateria della «Centrale» ben presto fu luogo di ritrovo dei «rampolli bene» di Parma. Infatti, un appuntamento che a quei tempi faceva molto chic e tendenza era: «ci vediamo questa sera alla Centrale». E lì davanti, parcheggiate con nonchalance, alcune «Alfa GT» rosso - fuoco mentre graziosissime ragazze, future bellezze parmigiane, gustavano il loro gelato sognando il principe azzurro sull’onda delle canzoni di Gianni Morandi. Così Errica Tamani nel libro «Fredde Dolcezze: sorbetti, gelati e gelatieri parmigiani», stampato da «Tecnografica» ed edito dalle delegazioni parmensi dell'Accademia italiana della cucina, fa un delizioso affresco di questo mitico locale ormai scomparso. «...Proprio in quei tavolini sono nati tanti amori, sfociati qualche volta in matrimonio. Era anche lì che si concordavano, tra i ragazzi della borghesia cittadina, le prime battute di caccia, le veloci incursione in Versilia per ascoltare Renato Carosone; era lì che si studiavano atroci beffe e pesanti scherzi, qualche volta finiti con duri scontri e polemiche rapidamente smorzati da Carlo Gazza con una buona coppa di crema. Crediamo che siano veramente tanti i professionisti della città che al bar della Centrale del Latte hanno scoperto l'amicizia, interessi culturali e professionali in un legame che, ancor oggi, li vede amici solidali».

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