Intervista
Teo Mammucari calcherà le scene del teatro Moruzzi di Noceto il prossimo 23 marzo con «Sarà capitato anche a voi».
In vista della tappa parmense del grande tour nazionale abbiamo pensato di domandare alcune curiosità.
Prendendo le parole a prestito dal gabelliere del celeberrimo film «Non ci resta che piangere»: chi siete? da dove venite?
«Chi sono e da dove vengo… non sono proprio in grado di dirlo! È una regola che ho con me stesso da sempre. Molti dicono “io, io, io”: non pensate sempre “io”, potrebbe essere l’opposto di quello che pensano gli altri. Mi mette in imbarazzo parlare di me e dire chi sono, da dove vengo, anche scherzando. Anche perché non è che ci presentiamo sempre allo stesso modo… Sono 30 anni che faccio teatro: comincio ad essere uno bello grandicello. Se mi chiedi “chi sei” dico come Pirandello che sono uno, nessuno e centomila».
Fra il tuo ultimo tour «Più bella cosa non c’è» e quello attuale è passata di mezzo la pandemia: cos’è cambiato?
«Diciamo quello precedente era un tipo di spettacolo che con questo ha una sola cosa in comune: lo stand-up, che in Italia non è molto molto conosciuto. Lo stand-up è un rapporto col pubblico in cui ti autoracconti: uso un termine un po’ così, forse sbagliato. Lo stand-up è molto più comico del cabaret: non prende argomenti a caso per far ridere ma ti autorappresenta. La differenza quindi è totale: quella era una storia e questa è un’altra. Si chiama “Sarà capitato anche a voi” perché quello che io esprimo in racconto è un po’ la vita che abbiamo fatto tutti. Chiaramente ognuno la vive in maniera diversa, ma tutti quanti mi dicono “questa cosa l’ho vissuta anch’io”».
Il racconto di un Teo della quasi maturità?
«No, perché non sono maturo: non è l’età che ti fa maturo! Maturo non lo sono e non lo sarò mai perché noi che facciamo questo mestiere siamo dei bambini e cerchiamo dentro le risposte. La maturità è sicuramente nel testo che è molto toccante anche se comico. Ma io non amo le autocelebrazioni: è sbagliato artisticamente autocelebrarsi! Non posso dire “il mio spettacolo è un grande spettacolo”, lo dirà il pubblico».
Hai lavorato spesso accanto a delle donne: che rapporto hai col gentil sesso? Quanto c’è di vero e quanto c’è di finto rispetto a quanto visto in Tv
«Il mio rapporto con le donne… in realtà io ho solo lavorato con le donne ed è da sempre la mia scelta lavorare con le donne! Se guarderete lo spettacolo parla della difficoltà dell’uomo di oggi rispetto alla donna sviluppata e ambiziosa che stiamo vivendo in quest’ultimo periodo. Pochi capiscono e pochi sanno che quando uno fa il conduttore televisivo dietro ci sono degli autori. Se domani rifaccio “Velone” o un programma con Milly Carlucci dove ballo non sono un ballerino. È la differenza fra l’uomo e l’artista: sono due persone lontane. Io sono un uomo che fa questo mondo e non sono uno che va e vive la vita allo stesso modo».
Nonostante non ti piaccia granché parlare di te, in questo spettacolo ci sono tante cose personali: vedremo il vero Teo?
«Qui c’è il mio modo di essere, di vivere, di pensare. Quando fai stand-up ti devi dirigere perché non c’è qualcuno che può farti la regia. La comicità non ha una regia: ci sono persone che hanno dei testi e attraverso il testo fanno ridere. Ci sono persone che invece riescono a far ridere perché fanno ridere da sé. Il comico autentico non è quello che lavora col testo e interpreta la parte comica! Le cose le devo scrivere io perché fanno in primis divertire me! Il pubblico si diverte della mia goliardia: lo stand-up è cinismo, verità, realtà pura».
Alessandro Frontoni
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata