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Teatro Regio

Un «Elisir» da bis e con l'appello «Cessate il fuoco»

Un «Elisir» da bis e con l'appello «Cessate il fuoco»

di Lucia Brighenti

16 Marzo 2024, 03:01

Un po’ Geppetto, un po’ Pinocchio, un po’ Pigmalione, forse anche un po’ Orfeo: il Nemorino del regista Daniele Meneghini è indubbiamente un personaggio complesso, ben lontano dal campagnolo ingenuo, come complesso è l’allestimento de «L’elisir d’amore» andato in scena ieri sera al Teatro Regio di Parma, secondo titolo della Stagione Lirica 2024. Uno spettacolo accolto da applausi in cui inizialmente si è percepita un po’ di freddezza, scioltasi però in ovazioni e richiesta di bis (soddisfatta) di «Una furtiva lagrima» interpretata con sentimento da Francesco Meli (la cui presenza, ieri sera, non era scontata). E terminato alla ribalta con applausi e uno striscione a favore del cessate il fuoco.
Se «Elisir» non è solo un’opera buffa, e a dirlo è la musica, da un lato il direttore Sesto Quatrini alla guida dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna ha saputo giocare bene con i contrasti tra le oasi patetiche e le pagine più brillanti; dall’altro Meneghini ne ha tratto uno spettacolo più sbilanciato verso il lato onirico, introspettivo, trasformando la storia in una proiezione della mente di Nemorino, e l’ambientazione rustica nel dietro le quinte di un teatro di burattini e marionette, con cuori di legno che chissà se batteranno mai d’amore. Lo stesso Meli, del resto, ha donato al ruolo del protagonista una profondità dal tono drammatico, mentre a un registro più lieve si potevano ricondurre l’Adina di Nina Minasyan, il Dulcamara di Roberto de Candia, il tronfio Belcore di Lodovico Filippo Ravizza, la Giannetta di Yulia Tkachenko.
Nello spettacolo con le scene di Davide Signorini, i bellissimi costumi di Nika Campisi e le luci di Gianni Bertoli, Nemorino si muove dunque in un mondo di maschere e si rifugia nell’arte del teatro di figura da cui però rischia di essere fagocitato. Entra in scena come Geppetto per poi trasformarsi in Pinocchio, marionetta che perde la testa a causa di Adina e viene smembrata da paesani senza sentimenti, un po’ come Orfeo dalle Baccanti («Mi sprezza il sargente, – mi burla l’ingrata, zimbello alla gente – mi fa la spietata»). Nella traslitterazione collodiana di «Elisir», anche il Grillo parlante si aggira, anche se muto, sgranocchiando la gamba di una marionetta mentre Dulcamara è Bargnocla ma allo stesso tempo ricorda Mangiafuoco.
Una lettura affascinante ma talmente complessa e lontana dalla leggerezza donizettiana che rischia di destabilizzare e che a volte dalla musica sembra prescindere.
La presenza dei Burattini dei Ferrari moltiplica a specchio i riferimenti a personaggi dell’immaginario di ogni tempo, dalle maschere della Commedia dell’Arte a Bargnocla e Fasolino, dalle marionette ai pupi siciliani. Bravi Daniela e Giordano Ferrari che si sono prestati al gioco di uscire dal loro abituale nascondiglio per indossare costumi e mostrarsi in scena, mentre muovono ogni sorta di burattini, marionette, pupi e pupazzi. Sempre confortante la prova del Coro del Teatro Regio di Parma preparato dal suo maestro Martino Faggiani.
Lucia Brighenti

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