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L'intervista

Fausto Pizzi: «Talento e calcio dinamico, questo Parma può fare bene anche in A»

Fausto Pizzi: «Talento e calcio dinamico, questo Parma può fare bene anche in A»

di Vittorio Rotolo

21 Marzo 2024, 03:01

«Sai chi è quel giocatore che quando gioca è meglio di Pelé». E poi il nome, Fausto Pizzi, scandito al ritmo di un ritornello che nel 1990 accompagnò il Parma nella sua prima, storica scalata verso la A. «Vuol saperla la storia di quel coro?» stuzzica la nostra curiosità l'ex centrocampista gialloblu. «Il nostro gruppo viveva appieno la città. Quasi nessuno di noi era sposato, così eravamo sempre insieme: pranzi, cene, merende dopo l'allenamento. Un giorno, in un bar di piazza Garibaldi, vengo avvicinato da alcuni tifosi: mi dicono che hanno pensato ad un coro e iniziano ad intonarlo. Il motivetto, così bello e coinvolgente, mi lascia senza parole. Mi sentivo onorato. Quando lo sento, mi emoziono ancora».

Pizzi, il calcio è cambiato. Però, grazie al cammino della squadra di Pecchia, sembra quasi di aver preso la macchina del tempo ed essere tornati indietro di trentaquattro anni...

«Si respira grande entusiasmo. Alla base dei risultati attuali, c'è un lavoro che parte da lontano. E la mano di un bravissimo allenatore».

Quali sono, a suo avviso, i meriti principali di Pecchia?

«Prima di tutto la capacità di integrare giocatori con culture calcistiche assai diverse tra loro. In questo compito Pecchia è stato aiutato dalle sue precedenti esperienze in panchina, da vice di Rafa Benitez per esempio. Fabio ha girato il mondo, ha allargato il proprio orizzonte, ampliato le conoscenze. Al Parma ha saputo plasmare una squadra intrigante, con giovani di valore».

Talenti che possono fare bene anche in A?

«Sono curioso di vederli all'opera in quel contesto. Ma i primi riscontri, vedi le partite giocate quest'anno in Coppa Italia, hanno chiaramente dimostrato che sono pronti per compiere il salto. In A, del resto, ci sono squadre come Lecce, Salernitana, Empoli, Cagliari che hanno un tasso tecnico forse addirittura inferiore a quello del Parma attuale. Se arriverà la promozione non credo saranno necessari grossi stravolgimenti nell'organico».

L'insidia maggiore per il Parma, da qui alla fine?

«Non vedo situazioni che possano ostacolare la marcia dei crociati, se non quella naturale tensione che magari subentra quando il traguardo è ormai all'ultimo miglio. Nulla di insormontabile, però».

Cosa le piace di questa squadra?

«Torno sui meriti dell'allenatore. Pecchia ha capitalizzato al meglio i punti di forza della rosa a sua disposizione. Penso agli esterni: Bonny, Benedyczak, Mihaila, un Man che mai si era espresso così bene. Alcuni di questi vengono anche impiegati da attaccanti centrali e tali rotazioni consentono al Parma di non dare punti di riferimento agli avversari, praticando un calcio veloce, tecnico e dinamico che esalta le potenzialità degli interpreti».

Del Parma di oggi in chi si rivede?

«È sempre complicato fare paragoni, ma il giocatore che più rapisce il mio occhio è Bernabé».

Il cui nome è ben annotato sul taccuino di molte squadre.

«Parliamo di un ragazzo di grande prospettiva: non avrà una struttura fisica imponente, ma sul piano tecnico le sue qualità non si discutono. È destinato a trovare la giusta consacrazione in un top club, ma ritengo che il Parma possa ancora dargli molto. E lui può dare altrettanto a questa squadra».

Se lo dice Fausto Pizzi, che la consacrazione la trovò al Parma, c'è da crederci.

«Venivo da tre campionati di C, dove l'Inter mi aveva spedito a farmi le ossa. L'ultimo di questi fui capocannoniere con 16 reti. Mi volevano Atalanta e Udinese, alla fine approdai al Parma raccogliendo i primi buoni frutti dopo tanta gavetta: quella promozione la conquistammo con pieno merito, nessuno ci regalò nulla».

Metta a confronto il suo Parma del 1990 e quello di oggi: analogie e differenze?

«I tratti comuni sono la leggerezza e la sana sfrontatezza con cui si affrontano le partite, oggi come allora. La differenza principale risiede nelle aspettative. Su di noi ce n'erano di meno: quel Parma, l'anno prima, non aveva fatto un campionato di vertice. Era ripartito con un nuovo allenatore e pochi innesti. La squadra di Pecchia, dopo la finale play-off sfuggita in maniera immeritata, è stata fin da subito inserita nel lotto delle favorite».

Diverso anche il cammino: quest'anno la marcia del Parma è stata spedita, nel 1990 invece a un certo punto sembrava quasi tutto perduto.

«Rischiammo di pagare a caro prezzo due mesi di sbandamento, seguiti alla vittoria nel derby a Reggio: un brutto momento amplificato anche dalla scomparsa del nostro presidente Ceresini. Non riuscivamo a liberarci delle scorie negative, non eravamo sereni».

Ci pensò lei, con un gol decisivo contro il Monza, a scacciare la crisi.

La ricordo bene quella rete: fu una liberazione, da lì ci ritrovammo».

Cosa è stato Nevio Scala per lei?

«Un padre. In squadra tendevo a legare con i ragazzi più grandi, per colmare il vuoto lasciato da mio papà che avevo perso a 17 anni. Quel vuoto, Nevio lo seppe riempire totalmente».

Nell'anno della prima promozione, Pizzi determinante non solo con le sue 12 marcature ma anche per l'esplosione di Sandro Melli.

«È vero (ride, ndr). Quando Pastorello venne a parlarmi del Parma, mi disse che avrei dovuto condividere il mio appartamento con un ragazzo su cui la società credeva tantissimo. “Tu che hai la testa sulle spalle, devi far capire a Melli cosa significa essere un calciatore” le sue parole. Accettai volentieri: con Sandro avevamo fatto il servizio militare assieme ed era anche simpatico. Le cose andarono per il verso giusto. Anche per lui i tifosi hanno inventato un coro che si sente ancora adesso...».

Vittorio Rotolo

© Riproduzione riservata

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