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LA SVOLTA DEL RE DEI CASALESI

Sandokan si pente in una cella di Parma. Il garante: «Un atteggiamento da leader, anche dopo anni di carcere duro»

Sandokan si pente in una cella di Parma. Il garante: «Un atteggiamento da leader, anche dopo anni di carcere duro»

di Georgia Azzali

30 Marzo 2024, 03:01

Il tempo gli ha incanutito i capelli e ha fatto svanire la somiglianza con Kabir Bedi, il volto televisivo della tigre di Mompracem. Ma Francesco Schiavone, detto Sandokan, è rimasto il re dei Casalesi anche dietro le sbarre. Ventisei anni ininterrotti, molti dei quali al 41 bis, il carcere duro che esclude ogni tipo di beneficio. E con «un fine pena mai» scolpito nella pietra per Sandokan, condannato a vari ergastoli ostativi. Gli ultimi dieci anni li ha trascorsi in una cella di via Burla e da lì è stato trasferito alcune settimane fa nel penitenziario dell'Aquila, lo stesso in cui aveva trascorso i suoi ultimi giorni Matteo Messina Denaro. Era circolata la voce che Schiavone fosse stato spostato nel super carcere abruzzese per curarsi, perché malato di tumore, ma la vera ragione è un'altra: il boss di camorra di Casal di Principe ha cominciato a collaborare con la giustizia. Cosa vorrà dire, a 70 anni, dopo un quarto di secolo da irriducibile in carcere, e quale valore investigativo avranno le sue parole, lo dirà il tempo. Ma Sandokan è stato un «vero» capo: feroce assassino e uomo d'affari capace di intrecciare ottimi rapporti con il mondo dell'imprenditoria e della politica. Conosce tutti i nomi e sa dov'è la cassaforte del clan, ammesso che voglia rivelarlo.

«L'ho incontrato per l'ultima volta lo scorso dicembre in cella: mi era sembrato stanco di quel contesto carcerario, ma pur sempre con uno stile da leader - racconta Roberto Cavalieri, garante regionale per i detenuti -. Durante il colloquio non ho percepito un suo desiderio di collaborare, ma non è escluso che dentro di sé avesse già maturato quella scelta».

Come previsto dal suo ruolo, Cavaliere ha avuto più di un colloquio con Schiavone e almeno un paio di volte l'ha incontrato nella sua cella al 41 bis. Un duro, anche quando si trattava di discutere di questioni ordinarie legate alla vita carceraria. Ma ora la sua collaborazione, ammesso che non si riveli inconsistente, è sicuramente un evento storico nella lotta alla camorra. «Le sue dichiarazioni potrebbero essere fondamentali anche per ricostruire il traffico di rifiuti e i disastri ambientali che ne sono derivati», sottolinea Cavalieri.

Padrone del clan e di Casal di Principe, Schiavone. Il bunker che si era fatto costruire per la latitanza era a 200 metri in linea d'aria da casa sua: quando lo trovarono, l'11 luglio 1998, era lì sotto con la moglie, una delle figlie, un cugino con la compagna e uno dei loro bambini.

Un pensiero costante, la famiglia, per Sandokan. Quella di sangue, ma soprattutto il clan, di cui ha scalato i vertici con grande intraprendenza. Sette figli, di cui i primi due - Nicola e Walter - collaboratori di giustizia già da qualche anno e due ragazze concepite con la moglie, Giuseppina Nappa, durante la latitanza.

Nato da una famiglia di agricoltori, Schiavone ha capito presto che non era nella terra da coltivare il suo destino. Nei primi anni Settanta diventò l'autista del trafficante di droga Umberto Ammaturo e poi il guardaspalle di Antonio Bardellino, il boss che sarebbe stato ammazzato in Brasile, ma la cui fine è ancora un mistero. Fu la morte di Bardellino, però, a dare il via all'ascesa di Sandokan, diventato il capo indiscusso dei Casalesi.

Ora è sceso dal trono. A Parma ha smesso i panni dell'impenitente. Ammesso che voglia dire tutto della sua vita da re.


Boss e killer feroci
Da «Piddu» Madonia all'autista di Riina: quei 68 rinchiusi a Parma al 41 bis
Cosa Nostra. 'Ndrangheta. Camorra. Chiusi nelle loro celle bunker, sono 68 (questo il numero alla fine dello scorso anno) i detenuti al 41 bis in via Burla. Boss, gregari e sicari sanguinari, la metà dei quali (34) destinato a morire dietro le sbarre perché deve scontare un ergastolo ostativo. Uomini per lo più anziani, se si considera che l'età media è 61 anni. E sommando tutti gli anni trascorsi in cella dai 68 detenuti al 41 bis, si arriva a 1.144 anni, con una media di 17 anni a testa.

A Parma è passato il Gotha di Cosa Nostra: Totò Riina, il capo dei capi, morto nel novembre 2017 all'ospedale Maggiore, e il suo successore, Bernardo Provenzano, trasferito poi a Opera dove se ne è andato nel luglio 2016. In via Burla ha trascorso gli ultimi mesi di vita anche Raffaele Cutolo, il fondatore della Nuova camorra organizzata.

Ma anche ora nel super carcere di Parma ci sono pezzi da 90 della criminalità organizzata. Tra gli esponenti di Cosa nostra, spicca Giuseppe «Piddu» Madonia, 77 anni, uno dei boss più potenti e sanguinari. Ma la lista di nomi eccellenti continua con Salvatore Lo Piccolo, il «barone» a cui rispondevano i clan siciliani insediati nel Nord Italia, Salvatore Biondino, l'autista di Totò Riina, e ancora Antonino Cinà, il medico del padrino corleonese e l'uomo del papello, secondo l'accusa, nella trattativa Stato-mafia. Non manca poi la costola catanese, con Vincenzo Salvatore Santapaola. E se Francesco Schiavone se ne è andato all'Aquila, a Parma sono rimasti, tra i camorristi, Aniello Bidognetti e Gennaro Mazzarella, storico avversario di Cutolo. Non mancano poi alcuni 'ndranghetisti di primo piano, tra cui Michele Bellocco, Francesco Pelle e Antonino Pesce.

Georgia Azzali

© Riproduzione riservata

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