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Cinema

60 anni di «Prima della rivoluzione»: lettera inedita di Attilio Bertolucci

60 anni di «Prima della rivoluzione»: lettera inedita di Attilio Bertolucci

di Filiberto Molossi

13 Maggio 2024, 03:01

La voce di Bernardo: anzi, la «voce poetica» così come la definì suo padre Attilio. Quella che sessant'anni fa arrivò chiara, dirompente e nuova alle orecchie di tutti: all'inizio al Festival di Cannes e poi un po' ovunque nel mondo: Parma, piccola capitale di una borghesia destinata a non cambiare mai, compresa.

È la voce di un ragazzo di 23 anni dal talento abbagliante, un giovane e coraggioso cineasta molto sicuro di sé, che cavalca un sogno da cui non sarà mai disarcionato, quella che rimbomba, il 12 maggio del 1964, su uno schermo della Croisette: è la voce di Bernardo Bertolucci. La stessa che attraversa, a ogni inquadratura, a ogni parola, la sua opera seconda, «Prima della rivoluzione». Un film che ha un segreto svelato più volte: è incapace di invecchiare. È il film «giovane per sempre» di un regista già, cinematograficamente, adulto, ancora modernissimo, addirittura sorprendente, come concezione, idea e stile, un manifesto ancora attuale per i ragazzi di ogni tempo, un ritratto borghese di sconcertante contemporaneità, una fotografia vivida e non sbiadita della provincia (e di una Parma che cambia per non cambiare). Se c'è una cosa di «Prima della rivoluzione» che mi fa impazzire è proprio questa sua spavalda, sfrontata, capacità di parlare - sempre - all'oggi, di dare del tu al presente, di essere coetaneo di qualunque epoca in cui venga (ri)visto.

Ha ragione Martin Scorsese, un fan della prima ora: studente di cinema, incrocia il film nel '64 al New York Festival, che «Prima della rivoluzione», peraltro, vincerà. «Sentivo di assistere a un evento, a una scoperta - racconterà in seguito -: ho scoperto un punto da cui nasce poesia, bellezza, una straordinaria voce, un talento di una dimensione diversa... un fatto grandioso. Quando ho visto “Prima della rivoluzione” mi ha ispirato profondamente, io volevo essere Bertolucci. Lo guardavo come una divinità». Il futuro regista di «Taxi driver» e «Toro scatenato» si scopre sorpreso «dalle emozioni che provai alla fine del film: mi mise in soggezione la potenza espressiva di Bertolucci, il puro piacere che provava a esercitare la propria creatività e il suo dono di trovare l'invenzione cinematografica, di cercare nuovi modi di raccontare: impavido, sfacciato, elegante, aveva sperimentato tutto e l'aveva messo nel film. Siamo tutti invecchiati: ma questo film no».

La lettera di Attilio
È noto che «Prima della rivoluzione», oggi considerato un classico, divise molto (ne parliamo in questo stesso articolo più avanti) sin dalle prime proiezioni di Cannes. E la musica cambiò solo in parte in ottobre, quando la pellicola uscì finalmente nelle sale, senza particolare successo. Ma se c'è chi come Scorsese parla già della «scoperta di una voce straordinaria», anche qualcun altro sottolinea, con garbo, la forza della «voce» di Bernardo: è suo padre Attilio, il grande poeta. Che il 20 ottobre '64 scrive a mio padre (suo ex studente) la lettera - inedita - che pubblico in questa pagina. E che tra le altre cose rivela l'umanissimo affetto e orgoglio di Attilio per suo figlio e il legame, indissolubile, tra l'intellettuale, che in quel momento si era già trasferito a Roma, e la sua città: «Caro Baldassarre - scrive il poeta - ti ringrazio di cuore per tutto quello che hai fatto per il film di Bernardo e sono certo che il vecchio critico che è in te ha avuto il suo peso nella cosa. Voglio dire che «Prima della rivoluzione» ti è piaciuto, come effettivamente è piaciuto a me, e questo conta. Mi dicono - sottolinea - che a tutti i parmigiani è piaciuto, anche agli spettatori più semplici. Per me è commovente il fatto che i miei, la mia gente, abbiano potuto sentire la voce poetica di Bernardo, come l'hanno sentita i più sottili critici del mondo, e tipi come Godard, la Varda. Il resto - conclude Attilio - conta poco. Grazie ancora. Tanti cari saluti dal tuo Attilio B.».

La guerra dei critici
Non sbaglia Lino Micciché: con «Prima della rivoluzione» Bernardo Bertolucci uccide il padre cinematografico (Pasolini) per abbracciare quello putativo (Godard). È un film «dal respiro europeo», l'incipit di una nouvelle vague italiana, un'opera addirittura «viscontiana». Ma molti lo capiranno solo molto dopo. Così il film a Cannes '64 - dove vince il Prix de la Nouvelle Critique e il Prix de l'Association Internationale de la Jeunesse - spacca in due la critica. Da una parte i recensori italiani, che lo stroncarono, dall'altra i francesi e gli americani che gridarono al capolavoro. Ricorda Francesco Barilli, protagonista di un film di cui ora è anche l'ultimo custode, la memoria storica, discussioni accesissime tra i critici del nostro Paese e quelli d'oltreoceano che rimproveravano ai primi di non avere capito nulla, che quello che liquidavano in tre righe era invece un capolavoro. Ma di certo i giornalisti nostrani ci andarono giù pesantissimi: Giovanni Grazzini, la firma di punta del Corriere della Sera, il critico più noto in Italia in quel momento, scrisse: «Nella settimana della critica», infine, si è visto il lungometraggio italiano «Prima della rivoluzione», di quel Bernardo Bertolucci al quale, dopo “La commare secca”, era già stato consigliato di mettersi a sedere in attesa di finire di crescere». E se Moravia su «L'espresso» chiama il film (errore, provocazione o gioco significante?) «Dopo la rivoluzione», la «Rivista del Cinematografo» (in un articolo a firma Giacinto Ciaccio) spiega che «se la confusione è grande sul piano contenutistico non lo è meno in quello stilistico dato che Bertolucci intende essere realista esprimendosi per simboli senza peraltro rinunciare alle follie linguistiche di più recente conio».

Ricordati
Film senza tempo, «Prima della rivoluzione» rivivrà anche a ottobre, quando verrà riproposto dalla Fondazione Bertolucci al Regio, e celebrato con una mostra fotografica e un convegno. E intanto che le immagini di Fabrizio si confondono a madeleine de «La Certosa di Parma», riecheggia nella memoria la voce di Gino Paoli. Come si chiamava quella canzone? ah, già: «Ricordati». Mai titolo, adesso, sembra più azzeccato.

Filiberto Molossi

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