L'OMICIDIO DI VIA MARX
Ha messo insieme i fotogrammi di quella mattina. Istantanee sfuocate per Giorgio Miodini. La moglie, Silvana Bagatti, 76 anni come lui, stava ancora dormendo quando ha preso il fucile e ha fatto fuoco sulle coperte. «Ho avuto un momento di buio e ho sparato. Non riesco a spiegarmi perché l'ho fatto», ha raccontato ieri durante l'interrogatorio di convalida dell'arresto.
Più di due ore in una sala del carcere di via Burla, davanti al gip Sara Micucci. Avrebbe potuto chiudersi nel silenzio, ma ha deciso di parlare. «Visto che era stato lui a chiamare subito i carabinieri, mercoledì mattina, raccontando ciò che era accaduto, ci sembrava giusto avere un atteggiamento collaborativo», sottolinea il difensore Federica Ceresini.
Il black out. E verso le 8 quel colpo a bruciapelo nell'addome di Silvana, con cui aveva passato la vita. Un cortocircuito improvviso nella mente: li ha spiegati così quegli istanti nella casa di via Marx 21. E quel fucile da caccia non denunciato con cui ha sparato? Un elemento che potrebbe diventare un macigno, tanto è vero che il pm Paola Dal Monte ha già messo nero su bianco l'aggravante della premeditazione, oltre ovviamente a quella del coniugio. Ma Miodini ha dato la sua spiegazione: «Un vecchio fucile di famiglia, degli anni '50, lasciato a mio padre e che io ho portato a casa nel 2003, ma poi ho dimenticato di denunciarlo». E il gip, pur avendo convalidato l'arresto e disposto la custodia cautelare in carcere, ha ritenuto non sussistente la premeditazione, tuttavia la procura, valutando gli esisti delle indagini, compresa la consulenza balistica, potrebbe comunque continuare a contestare l'aggravante.
Ma il giallo delle armi riguardava anche un'altra carabina da caccia, regolarmente denunciata da Miodini, di cui però non c'era traccia in casa. «Non ce l'ho più da molti anni, devo averlo dato a qualcuno», ha sostanzialmente spiegato. «Armi che sono passate di mano in mano senza effettuare le procedure corrette previste dalla legge, ma certamente Miodini ha chiarito che il fucile con cui ha sparato non è entrato in casa negli ultimi giorni o in tempi recenti», aggiunge il difensore.
Le carabine apparse e comparse. Che hanno fatto insospettire gli inquirenti. Ma in quell'appartamento a piano terra del quartiere San Lazzaro i carabinieri hanno trovato anche qualcosa che è parso quantomeno bizzarro: 10mila euro in contanti. La spiegazione di Miodini? «Tenevo spesso dei soldi in casa: ero più tranquillo così, perché se dovevo fare delle spese o pagare un operaio che veniva a casa a fare dei lavori, sapevo di averli a portata di mano». Si vedrà se la motivazione sarà ritenuta sufficiente, anche se è pur vero che ci sono anziani che hanno l'abitudine di avere contanti in casa: nel frattempo, però, la somma è stata sequestrata.
Lui e Silvana. La moglie di cui si sa pochissimo. Uccisa in quel letto da cui si alzava raramente, soprattutto negli ultimi due anni, piegata da una depressione che l'asfissiava. E' il marito che parla di lei, oltre a qualche vicino e alcuni conoscenti che però non avevano avuto modo di vederla da anni. Anche il nipote non la incontrava da un tempo infinito. E ci sarebbe stato solo il marito ad occuparsi di lei, che usciva di casa solo per qualche visita medica. Senza figli, qualche raro amico, in questa bolla di solitudine ed esasperazione sarebbe maturato l'omicidio. O almeno questo è ciò che anche ieri ha raccontato Miodini: «Lei non voleva vedere nessuno, si chiudeva in camera. Una situazione che è peggiorata con il tempo. Sono anche andato dallo psichiatra, ero molto provato. Ma mercoledì mattina non so cosa mi sia successo, era come se mi fossi svegliato in una nuvola buia».
Lo sparo d'impeto. Quello a cui - almeno per ora - la procura non crede. Martedì verrà effettuata l'autopsia. Anche se pare non ci sia molto da scoprire. Silvana è morta dove si sentiva al sicuro. Uccisa dall'uomo che conosceva da cinquant'anni.
Georgia Azzali
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