LIRICA
Un'ombra prepotente e minacciosa si staglia già dai primi accordi dell'opera mettendo in chiaro subito che ha il potere di piegare tutti gli altri ai propri più oscuri desideri e che questo potere lo userà. È chiaro che si tratti di Scarpia, non certo di Daniel Oren come avrebbero potuto pensare alcuni dei giovani spettatori dell'ante-generale, intimoriti dal vigore con cui ha interrotto la prova (appunto di questo si trattava) quando non era soddisfatto da qualcosa. Si dice che il diavolo sia nei dettagli, è vero, ma forse è più giusto considerare che nei dettagli sia l'arte.
Al Regio, ieri sera, infatti, non sono mancate le attenzioni anche per le piccole cose, spesso trascurate anche nei contesti più prestigiosi. I dettagli, insomma, sono un lusso prezioso, un valore aggiunto allo spettacolo andato in scena. Non è mancato, comunque, l'elemento principale che in questa occasione è stato rappresentato proprio da quello Scarpia rappresentato così cupamente dalla musica di Puccini. È uno Scarpia ideale quello proposto da Luca Salsi: non usa mai l'imponenza vocale per incutere timore negli altri personaggi, ma con grande intelligenza scolpisce ogni parola senza che questo vada discapito di in una linea di canto nobile. La nobiltà vocale contrapposta ai viscidi intenti del personaggio contribuisce a renderlo tanto più inquietante e, quindi, efficace.
Se Scarpia è un gigante, risulta perfettamente alla sua altezza la Tosca di Maria José Siri, balzata sul palco domenica scorsa per sostituire l'indisposta Anastasia Bartoli. Il pubblico non può che accogliere questo come un gradito regalo per la bellezza della sua linea vocale che è sicuramente il suo punto di forza. È una Floria Tosca, probabilmente, meno volitiva di altre e quasi stupisce che, a dispetto della sua dolcezza, arrivi a uccidere Scarpia, ma questo contrasto è interessante. Il suo canto, poi è impeccabile e il suo «Vissi d'arte» commuove. D'altra parte, chi non vorrebbe essere accompagnato in un'aria con l'incredibile cura e morbidezza trasmessa in questo brano da Oren?
Non da meno è stato "l'ultimo arrivato" Fabio Sartori, giunto direttamente alla prova generale. Con il suo timbro generoso ha raffigurato un Cavaradossi appassionato, in grado di ricevere grandi consensi in entrambe le arie del suo personaggio: «Recondita armonia» e «E lucevan le stelle», riproposto anche in un emozionante e apprezzatissimo bis.
Secondo quella che sembra essere la logica inversa di quest'opera in termini di brani solistici, dovrebbe essere il momento di un personaggio un po' meno importante con tre arie: ecco, invece, quattro ruoli privi di aria, ma tutti ben caratterizzati da Puccini e realizzati in modo appropriato, ieri sera, da Luciano Leoni (Angelotti), Roberto Abbondanza (il sagrestano), Marcello Nardis (Spoletta) ed Eugenio Maria Degiacomi (Sciarrone).
Completano il cast il pastorello di Bucaram e il carceriere di Lucio Di Giovanni.
Squadra che vince non si cambia, e probabilmente lo stesso si può dire anche di un allestimento come quello firmato da Joseph Franconi Lee (da un'idea di Alberto Fassini) con le scene e i costumi di William Orlandi. Giunto alla sua seconda ripresa nel suo tradizionalismo de-strutturato e con scene di grande impatto visivo continua a convincere.
Il Coro del Teatro Regio, preparato da Martino Faggiani, non ha un ruolo molto ampio in questa opera, ma figura in modo ottimo nei propri interventi, anche in quell'insidiosa cantata da fare dietro le quinte.
Si può dire che a trionfare ieri al Regio sia stata la teatralità in senso ampio, includendo non soltanto quella sul palcoscenico, ma soprattutto quella musicale.
Giulio A. Bocchi
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