Delitto di via Marx
Si poteva evitare la tragedia di via Marx? O quel che accade nella mente umana è a volte davvero imprevedibile e inaspettato?
Se lo domandano in molti, a cinque giorni da quello sparo di fucile in via Marx (una zona verde e abbastanza silenziosa della città, non più centro storico, non ancora periferia) che ha stroncato la vita di Silvana Bagatti e dato una svolta drammatica a quella di Giorgio Miodini.
Marito e moglie, entrambi 76 anni: lei inchiodata a letto da anni per una grave depressione, lui da anni unica persona - sempre più anziano e stanco - ad occuparsi della compagna di vita. Finché, la mattina del 15 maggio, ha imbracciato il fucile e ha fatto fuoco contro la moglie, chiamando subito dopo il 113: «Venite, l'ho uccisa».
Se questa fosse una tragedia annunciata se lo domanda anche Carla Ravasini, una vicina di casa di Giorgio Miodini, anche lei residente in via Marx, che ha scritto alla Gazzetta una lettera accorata piena di rimpianto, rammarico e un senso di colpa che oggi interroga tutti.
«Nell'ultimo mese Giorgio mi ha reso partecipe della sua disperazione, della sua totale sensazione di essere solo in una situazione pesantissima. Il consiglio che io ho potuto dargli è stato indirizzarlo da un medico privato dove lui è andato. Si è poi rivolto anche ai servizi sociali e l'ultima volta che l'ho sentito, il giorno prima della tragedia, eravamo rimasti d'accordo che mi avrebbe fatto sapere quando gli avevano dato appuntamento» scrive la signora Ravasini.
Anche un altro conoscente avrebbe riferito di aver incrociato Miodini il giorno prima del dramma: «Mi ha detto: “Ti saluto oggi, perché non so se avrò un'altra occasione per farlo”». Parole di cui difficilmente si poteva indovinare il senso.
«Io ho un enorme senso di colpa per non essere riuscita ad aiutare Giorgio ad evitare questa tragedia - continua la lettera della signora Ravasini - Non ho più dormito all'idea che se avessi fatto un passo in più decisivo, forse si sarebbe potuta evitare. Ritengo però che altre persone oltre a me dovrebbero avere questo peso sulla coscienza. Giorgio ha dedicato la sua vita a sua moglie, la sua vita girava intorno a lei e alle sue necessità. Aveva pure smesso di andare a fare i suoi giri in bici. Diceva: “Silvana è peggiorata tanto, se succede qualcosa a me, chi se ne prenderà cura?”».
È stato un femminicidio? Se lo domanda anche la nostra lettrice: «Forse si deve verificare il significato della parola femminicidio. Certo, è un omicidio, ma definiamolo con la giusta parola: uxoricidio. Questa è una tragedia umana di disperazione, malattia, solitudine in una società nella quale, io per prima, viviamo rinchiusi nelle nostre gabbie, solo interessati al nostro io e al nostro giardino. Scusa Giorgio», le ultime parole della lettera aperta.
L'omicidio di via Marx interroga un'intera comunità. Come quella che si raccoglie intorno alla parrocchia di Maria Immacolata, una delle più grandi della città: 10 mila fedeli a poco più di 400 metri dalla casa della coppia. Il parroco, don Daniele Bonini, arrivato da un anno, non li conosceva. «Abbiamo dedicato loro la messa feriale del 17 maggio. Il caso ha voluto che sia andato a benedire quel condominio di via Marx il giorno dopo la tragedia. Ho trovato i vicini di casa sinceramente affranti: tutti hanno parlato bene di entrambi i coniugi, riconoscendo al marito grande dedizione nell'assistenza alla moglie. Certo, è stato un gesto violento. Ma non ho sentito da nessuno una condanna inesorabile», dice don Bonini.
Si poteva fare qualcosa? «Ferma restando l'insondabilità dell'animo umano, credo che più una comunità è solidale e sa fare rete, più si crea reciprocità fra le persone, e questo avrebbe forse potuto prevenire la tragedia - dice don Bonini - Vengo da Torrile. La realtà di un piccolo paese, dove tutti si conoscono ed è forte il senso di appartenenza, è diversa dai ritmi e dai rapporti cittadini. Ma anche qui ci sono persone buone, sensibili, accoglienti. Quello che è successo ci chiama in causa, ci invita ad essere più vicini, solidali, disponibili. Come parrocchia cerchiamo di fare comunità: con i gruppi famiglia, gli scout, il gruppo anziani, l'oratorio, la Caritas, il gruppo dei giovani e quello dei genitori, il catechismo. Cerchiamo di essere un anticorpo all'individualismo. Non so se ci riusciamo sempre, ma non smetteremo di provarci».
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