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Intervista

Paolo Barilla: «L'Accademia dei giorni straordinari e le lezioni di entusiasmo»

Paolo Barilla: «L'Accademia dei giorni straordinari e le lezioni di entusiasmo»

di Roberto Longoni

20 Giugno 2024, 03:01

Ai ragazzini, che da marzo lo vedevano apparire nella grande struttura o sul verde che la cinge nel Campus, si è sempre presentato con un semplice «Paolo», omettendo il cognome rivelatore della paternità di idea, progetto e realizzazione della sede dell'Accademia dei giorni straordinari. Un'oasi di legno e vetro, di bellezza leggera alla terra il luogo in cui la fondazione voluta da Paolo Barilla si è fatta fondamenta per un futuro da reinventare. Visite quasi in punta di piedi, le sue, rubate alla fitta agenda e ai tragitti casa-azienda o Pedrignano-dove serve nel mondo: giusto il tempo di assaporare l'atmosfera di quello spazio alle porte di Parma, incubatore di entusiasmo e speranza. Al saluto del padrone di casa nelle vesti di ospite, i ragazzini indicati dagli istituti comprensivi Salvo d'Acquisto, di via Montebello e Ferrari hanno risposto sorridendo affaccendati nei giochi e nei compiti, forse senza nemmeno riconoscerlo, e lui, Paolo Barilla, è ogni volta ripartito con un pieno di positività. Oggi è la festa di chiusura dei primi due mesi e mezzo di attività dell'Accademia («l'anno zero»). Presto per i bilanci, ma non per parlare dell'energia che anima un progetto di prevenzione al peggio, innanzitutto a quello che spesso deriva dall'abbandono della scuola. È sull'uscio delle aule che si sconfiggono le baby-gang prossime venture: per strada tutto si fa più difficile e sa comunque di sconfitta.

Paolo Barilla, da dove trae origine l'Accademia dei giorni straordinari?

Da realtà esistenti da tempo: è quanto viene già fatto che ti lascia intravvedere nuove possibilità. Io partirei da Parma, con la nascita di Giocampus, 23 anni fa. Un modello nuovo, evoluto grazie alla propria elasticità, andando incontro alle necessità di bambini, famiglie e contesto cittadino. Per Parma è un'iniziativa straordinaria, attorno alla quale si concentra un clima di grande positività. Mi permetto di dire così, quando non ci sono controversie e nessuno ha dubbi.

Poi c'è un'ispirazione più lontana.

Già. Persone che fanno cose straordinarie in giro ci sono: si tratta di individuarle e frequentarle. Io ho avuto anche la fortuna di incontrare don Paolo Steffano, capace di incidere nella realtà complessa di Baranzate, nell'hinterland milanese: multietnicità elevata, abitanti dalle vicissitudini molto problematiche... Don Paolo è un sacerdote che predica con i fatti: coinvolgendoli in una sorta di Giocampus, senza imporre nulla, ha puntato all'integrazione di ragazzini dalla storia difficile, con origini, culture e religioni tanto differenti. Così, mi sono solo chiesto come impegnarmi, in sintonia con questi modelli. Da qui l'idea di dare vita a una fondazione per la formazione di ragazzi tra i 10 e i 14 anni, tra i più a rischio di abbandono scolastico. E quando si lascia la scuola a quell'età è un vero disastro.

Ha trovato validi alleati...

Entusiasti. Oltre a don Paolo e a Elio Volta, responsabile di Giocampus, che mi hanno garantito il loro appoggio, Paolo Andrei, rettore quando nacque l'idea. Ogni avventura richiede condivisione e partecipazione. Se uno propone un trekking e gli amici scuotono il capo, tanto vale stare a casa. Si deve al professor Andrei, se noi siamo al Campus, ospiti dell'Università. «Questa cosa bisogna farla» mi rispose subito: non disse «valuteremo» o «vedremo». Poi, c'è stata la buona volontà di tanti, perché si raggiungesse questo risultato, con un cantiere aperto meno di un anno.

Accoglienza, intrattenimento educativo. Ma l'Accademia ha anche altri obiettivi, no?

Sì, c'è una parte di studio. Vogliamo capire quali elementi interessano, stimolano e possono creare entusiasmo nelle giovani generazioni.

L'entusiasmo: si dice che specie tra i giovani sia raro.

La responsabilità è nostra: i ragazzi hanno sulle spalle un onere troppo pesante. Se uno pensa a quanto il mondo fosse meno affollato di notizie (se ne sapevano poche) fino a pochi decenni fa, alla mancanza di intrattenimento digitale, al fatto che la tv cominciava a trasmettere solo alle 17... Si era costretti a sognare, a inventarsi i giochi. E poi oggi ci si confronta di continuo con socialità, inclusione, sostenibilità: temi che sono oneri e responsabilità. Non che non se ne parlasse un tempo, ma non erano sulle spalle di chi non poteva reggerli. Oggi anche le giovani generazioni affrontano un mondo iperproblematico, dove la speranza e l'entusiasmo sono rari. Ne consegue anche un senso di inadeguatezza una volta meno diffuso.

Si fatica a parlare al futuro.

Esatto. E così c'è la rinuncia. L'università è l'istituzione perfetta per l'indagine su queste problematiche, essendo sinonimo di futuro.

A che punto siamo?

Stiamo scaldando i motori, prendiamo confidenza con la struttura, con i ragazzi e le famiglie. Funziona così da entrambe le parti. A questo proposito, Elio (Volta, ndr) ha distribuito anche moduli di soddisfazione. Nessuno si aspetta risultati plebiscitari, come per Giocampus. Qui siamo in presenza di un disagio che, si sa, si manifesta con azioni diverse. Noi a questi ragazzi abbiamo chiesto un impegno. Alcuni hanno fatto fatica ad accettarlo e a mettersi in gioco. Ma non è un insuccesso. E a noi comunque aiuta a capire. E poi l'Accademia è anche un luogo d'incontro: poche mattine fa, c'erano 70 ragazzi dell'alternanza scuola lavoro, ospitati nella nostra grande sala, nell'altra sala c'erano l'università Bicocca e di Parma per uno studio con l'intelligenza artificiale sui resti del cibo, dall'altra parte ragazzi impegnati in un progetto su ambiente e sostenibilità.

Siete partiti con 30 ragazzi: in settembre saranno 60 e poi a regime 90. Studio, compiti insieme, sport. Partiranno laboratori di cucito, informatica, teatro... E poi si intensificheranno le testimonianze: di sportivi, artisti e imprenditori.

Se noi siamo soggetti passivi ci arrivano molte più cose negative che positive. Bisogna stimolare l'opposto. Punteremo molto sulle testimonianze, di persone che rappresentino la sfida vinta tra le difficoltà in cui siamo tutti e la difficoltà affrontata con entusiasmo che ti porta oltre.

Privato e pubblico insieme devono coprire lacune che lo Stato non può affrontare?

Oggi ai classici capitoli, dalla sanità alla scuola, se ne aggiungono altri molto diversi, come l'emotività: non possiamo pretendere che uno stato risolva anche quelli. Sfide di questo tipo andrebbero sempre affrontate in collaborazione tra privato e pubblico. L'università sarà importantissima: è diffusa ovunque, guarda al futuro ed è super partes. E spero che l'Accademia possa rappresentare un caso pilota adattabile ai diversi territori.

Lei ha una figlia undicenne. Che cosa dice del progetto?

Gliel'ho raccontato, è venuta a vederlo, inizia a percepire che è importante che ci occupiamo di noi: di noi stessi in senso più allargato. Per lei sarà un'esperienza importante da vivere, per confrontarsi con i temi che toccano da vicino i suoi coetanei che magari hanno situazioni un po' più complesse. È molto contenta.

Quel «noi» sta per comunità?

Sì, al di là degli interessi di parte. Una volta esisteva la comunità di Parma. Oggi bisogna reinventarla. Un tempo andare a Milano era un'avventura, oggi è il mondo a entrare nella nostra città. Oggi comunità significa sapersi integrare con persone di origini, abitudini e religioni diverse. Il rischio è che stiano vicine realtà conflittuali, che non si parlano e non si fidano l'una dell'altra. Un tempo in piazza Garibaldi sapevi di trovare te stesso negli altri. Oggi invece hai paura perché non trovi più chi è simile a te, perché in realtà non lo conosci oppure perché non sei capace di riprogettarti. Bisogna organizzarsi perché succeda. E se non parti dai bambini...

Roberto Longoni

© Riproduzione riservata

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