Editoriale
La tragicomica battuta - «Ero stanco, quasi mi addormentavo sul palco» - con cui Joe Biden ha cercato di giustificare la propria disastrosa performance nel duello televisivo con Trump mi ha fatto subito pensare al famoso proverbio veneto «Peso el tacon del sbrego» (Peggio la toppa del buco). Che nessuno nello sterminato staff della Casa Bianca sia riuscito o abbia provato a impedire al 46° Presidente degli Stati Uniti di allargare ancora di più lo «sbrego» non fa che rafforzare il sospetto che, in realtà, sia l’Occidente intero a versare in uno stato di avanzata e forse irreversibile narcolessia. Ovunque si volga lo sguardo, infatti, il panorama non cambia. Di là dall’Atlantico, la prima potenza economico-militare nonché la maggiore democrazia del Pianeta è giunta a un bivio che mette i brividi solo a pensarci: scegliere, cioè, se continuare ad affidarsi a un vegliardo in evidente quanto sempre più frequente stato di confusione mentale, oppure a un ex presidente che, una volta rieletto, rischia l’incriminazione con l’accusa di avere cospirato contro le stesse istituzioni che lui ha giurato (e sarebbe la seconda volta) di difendere. Le alternative in entrambi i campi? Quando mancano esattamente 124 giorni alla data delle elezioni presidenziali del 5 novembre prossimo, inesistenti! Se non addirittura peggiori della arzilla coppia di cui sopra (Biden di anni ne fa 81, tallonato a quota 78 da Trump). E l’Europa? Mai come ora, con due guerre spaventose combattute direttamente alle sue porte e una competizione globale che minaccia la sua stessa sopravvivenza, il Vecchio Continente avrebbe bisogno di imboccare risoluto la strada di un cambiamento radicale di strategia in campo economico, industriale e militare attorno a cui coagulare una unità vasta e finalmente libera da anacronistici steccati ideologici. Invece, eccolo nuovamente impegnato a recitare la malinconica parte del vaso di terracotta di manzoniana memoria condannato a viaggiare in compagnia di molti (troppi) vasi di ferro. Come altro giudicare l’imminente nascita di una maggioranza parlamentare europea frutto delle solite riunioni a porte chiuse e destinata a finire impallinata alla prima occasione dai suoi stessi franchi tiratori? Il copione non muta granché guardando alla Francia uscita come terremotata dal voto di domenica scorsa. Come è noto, ha vinto e stravinto madame Le Pen, la quale ora punta a conquistare la maggioranza assoluta al secondo turno di domenica. Una Giovanna D’Arco, oppure un demonio? Fate voi. Certo è che una alleanza contronatura (la chiamano «patto di desistenza» ma la sostanza non cambia) in chiave appunto anti Le Pen come quella fra il moderato Macron e il suo arcinemico di estrema sinistra e dichiaratamente filorusso, antisemita e filo Hamas Jean Luc Mélenchon non si era mai vista. Sarebbe come se in Italia Meloni chiedesse di votare per Fratoianni (che a confronto con Mélenchon sembra un chierichetto) e viceversa. È democrazia, questa? Non credo. Credo invece che, salvo rare eccezioni (una su tutte Mario Draghi, non a caso tagliato fuori dal risiko delle nomine di Bruxelles), l’Europa stia dimostrando ancora una volta di non avere capito la sfida in tutti i sensi «esistenziale» che si trova di fronte. Ad averlo capito invece molto bene, sono i nostri nemici (non necessariamente fra virgolette), Cina e Russia in testa. Tutti allegramente riuniti proprio in questi giorni ad Astana, in Kazakistan, per il vertice della cosiddetta «Organizzazione per la cooperazione di Shanghai» che altro non è che un «blocco» anti-Nato e più in generale anti-Occidente. Con l’America e l’Europa impegnatissime a offrire una prova di dis-unione dietro l’altra, eccoli lì a brindare felici dandosi delle vigorose pacche sulle spalle. Confortati in ciò dal comportamento suicida di vasti strati delle opinioni pubbliche occidentali che sembrano non vedere l’ora di consegnarsi, armi e bagagli, direttamente nelle loro mani. E chissenefrega se stiamo parlando di dittatori che, nei rispettivi Paesi, hanno cancellato ogni minima parvenza di libertà (politica, individuale e anche di impresa) e che, forti di un consenso interno ottenuto a quel modo, stanno tessendo una rete imperiale che abbraccia ormai mezza Africa, quasi tutta l’Asia e perfino alcune zone del Sud America. E pensare che c’è ancora chi insiste nel magnificare i grandiosi vantaggi della «globalizzazione»! Questo, mentre l’unica globalizzazione vincente sembra essere quella funzionale a un «nuovo ordine mondiale» costruito a colpi di aggressioni armate contro nazioni indipendenti e sovrane. Di sistematica rapina e distruzione delle risorse naturali (provate voi a proporre un «green deal» in Russia e in Cina). Di alleanze di ferro fra i nuovi «padroni del mondo» e altri regimi barbari e dittatoriali come quelli iraniano o del «piccolo Hitler» nordcoreano Kim Jong-un. Il tutto, tenuto insieme da un «collante» - economico, commerciale ma ormai perfino mentale - che ci vede clienti sempre più docili e assuefatti della «mega fabbrica» planetaria di auto e batterie elettriche, processori, materie prime, beni strumentali di ogni genere e mano d’opera a prezzi stracciati con sede principale a Pechino. E noi qui ad autoflagellarci con la lagna delle nostre passate colpe coloniali, oppure a baloccarci con le nomine dei «top jobs» di Bruxelles dopo che le elezioni appena svoltesi per il rinnovo del Parlamento europeo hanno visto trionfare il super partito dell’astensione (che in Italia ha infranto il muro storico del 50%!). Stanchi, confusi, divisi, rissosi, sfiduciati, affetti da chiari ed evidenti segni di invecchiamento e, pertanto, terribilmente deboli: ecco come ci vedono in questo preciso istante da Mosca e da Pechino. D’altra parte, laggiù mica devono preoccuparsi di quella strana cosa che noi ci ostiniamo a chiamare democrazia! Che tuttavia, al pari della (sempre da noi) data troppo per scontata «pace», così al sicuro non è e non resterà finché continueremo a prenderla disinvoltamente a calci. Financo a stravolgerla e a ridicolizzarla, mentre il signor Putin e il signor Xi Jinping se la ridono beati alle nostre spalle. Difficile dar loro torto, con un Occidente impegnato a inanellare una gaffe dietro l’altra.
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