Processo
Prima a uscire dall'aula, la pm Paola Dal Monte non ha bisogno di parlare per dirsi soddisfatta: glielo si legge in viso. I tre imputati per lei dovevano essere condannati, e tre sentenze di colpevolezza sono appena state pronunciate dal giudice Simone Devoto Medioli, anche se con pene inferiori a quanto richiesto dalla pubblica accusa (otto anni per i fratelli Vetere, residenti a Reggio Emilia, e sei anni e 10 mesi per Antonio Dimichele). Antonio Vetere, nato a Cutro 68 anni fa e residente a Reggio Emilia, è stato condannato a cinque anni e nove mesi, e Marcello, 55 anni, nato a Crotone, a sei anni e tre mesi. Il 49enne avvocato parmigiano di origini tarantine a quattro anni, oltre che a un anno e mezzo di sospensione dall'esercizio della professione forense. Dimichele è stato ritenuto colpevole di concorso esterno ad associazione per delinquere (con gli altri imputati) e di ricettazione (anziché di autoriclaggio) e di distrazione di alcuni beni, mentre i due fratelli sono stati ritenuti colpevoli di associazione a delinquere e bancarotte dalle quali l'avvocato parmigiano è stato ritenuto estraneo. Ma non è che il primo grado: il ricorso in appello è quasi scontato.
È dell'affaire Aqualena che si parla, perché legato all'impianto sportivo (con palestra, piscina e centro estetico) di via Ximenes da tempo sotto sequestro. Un nome che ne evoca altri: da Europa Horus a International Services e Hcp srl, oltre all'hotel City del Cornocchio a sua volta posto sotto sequestro, in un rincorrersi di fallimenti e vendite fittizie. Insegne che per gli inquirenti non rappresentavano altro che una «galassia di scatole vuote» create ad arte attraverso decine di manovrabili prestanome pescati perfino tra i pazienti del Sert per eludere fisco (e infatti l'inchiesta coordinata dal pm Umberto Ausiello e condotta dalla Guardia di finanza scaturì da alcuni accertamenti fiscali nel 2015), fornitori e creditori senza però rinunciare al possesso delle strutture. Intricata la vicenda, complicata la sentenza, per gli innumerevoli capi di imputazione a carico dei tre a processo: dall'associazione per delinquere finalizzata a commettere delitti di bancarotta fraudolenta all'insolvenza fraudolenta, fino alla truffa, all'autoriciclaggio, all'omessa dichiarazione fiscale e alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Il giudice Medioli ha impiegato quasi dieci minuti per leggere tutto il dispositivo (non c'era motivazione contestuale: per depositare quella il collegio si è preso novanta giorni). Alle difese (gli avvocati Aniello Schettino e Mario L'Insalata per Dimichele; l'avvocato Enrico Della Capanna e il professor Oliviero Mazza, entrambi del foro di Reggio, per i fratelli Vetere) è servito un tempo ben più cospicuo per districarsi nel ginepraio di confische (per centinaia di migliaia di euro) e provvisionali, ridefinizioni dei reati, aggravanti e attenuanti, condanne e assoluzioni dei loro assistiti.
«Accuse fortemente ridimensionate per l’avvocato Dimichele - sottolinea L'Insalata, dopo una prima rilettura del dispositivo -. Nei suoi confronti cadono nove capi di imputazione e altri due risultano assorbiti nei quattro capi per cui è intervenuta la provvisoria condanna. In particolare, è stata accolta la tesi difensiva circa l’insussisteza della distrazione fallimentare del complesso immobiliare della palestra Aqualena».
A pochi metri, i familiari di Antonio e Marcello Vetere, oltre agli stessi due imputati che hanno ascoltato la sentenza impassibili come in ogni fase del processo esprimono la loro delusione. Lungo è il confronto con i loro legali, in un'aula nella quale si suda anche solo a stare fermi. Ricordando come si tratti solo del primo round, i loro legali cercano di convincerli che nessun colpo da ko è stato inferto.
«Anzi - dichiara Mazza -. Questa sentenza ha tolto tessere che faranno crollare l'impianto accusatorio: come nel domino. Siamo molto confidenti nella possibilità in appello di arrivare a dimostrare la completa estraneità dei fratelli Vetere in queste vicende di bancarotta. Anche il danno che avrebbero arrecato alle società è stato ridimensionato da milioni a decine di migliaia di euro. È importante che si sia fatta luce anche sulla dimensione del ruolo di amministratori di fatto che i Vetere non hanno avuto: il risultato è che dai reati in cui veniva loro contestato sono stati assolti».
Roberto Longoni
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