Il geologo Straser
La formazione dell’Appennino è il risultato della sovrapposizione di varie tipologie di rocce sedimentarie, successivamente deformate dagli sforzi che si producono all'interno del sottosuolo.
Il movimento di edificazione della catena montuosa è lento e quando qualcosa impedisce lo spostamento delle rocce, si accumula energia che si libera sotto forma di onde elastiche. La zona di accumulo e di rilascio dell’energia lungo la faglia si chiama ipocentro, la sorgente di un terremoto.
La giustapposizione delle rocce durante il processo di edificazione dell’Appennino non avviene in modo costante e l’energia accumulata nel tempo si dissipa a «scatti», causando, appunto i terremoti. Potrebbe essere questa la lettura della sismicità che interessa anche il parmense.
La riattivazione di strutture profonde, dell’ordine di una ventina di chilometri, si è avviata sei mesi fa con uno sciame che, dopo una prima fase con decine di terremoti al giorno, con energie che hanno raggiunto e superato magnitudo 4, man mano diradati sino ad eventi singoli come quelli delle ultime settimane, fortunatamente senza causare danni.
La lunga catena di sismi si è concentrata soprattutto nella fascia pedecollinare fra la Val Parma, Val Baganza e Val Taro, con epicentri che si sono avvicinati alla città, ma mai come quello della notte scorsa, localizzato dai sismologi dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) di Roma, a Fontanini di Vigatto, alle porte della città.
Anche questo terremoto, di magnitudo 3 e originato a una profondità di circa sedici chilometri, si può inquadrare in un meccanismo tettonico compressivo, attivo sulla direzione SO-NE.
I comuni compresi nei primi dieci chilometri dall’epicentro sono quelli già coinvolti nello sciame sismico, come Sala Baganza, Collecchio, Felino e Montechiarugolo.
Valentino Straser
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