Paura
Subdolo, piccolo e schivo, ma potenzialmente letale e pronto a mordere, se si sente in pericolo. Ci mancava solo lui, il ragno violino, che sembra nato per suonare colonne sonore da film horror, puntino sulla «i» della nostra angoscia. In realtà, non è nemmeno mai mancato: il Loxosceles rufuscens ha sempre convissuto con noi, il più delle volte in silenzio, nelle nostre case. Non è un aracnide importato, ennesimo sgradito dono dei cambiamenti climatici. «La specie è endemica, diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo: è comune nel nostro territorio, anche se di certo non si trova in tutte le abitazioni - spiega Mattia Calzolari, biologo-entomologo dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna -. Notturno, ha abitudini poco appariscenti».
Il nome, un ossimoro se si pensa alla bellezza del suono dei gioielli di Stradivari, gli deriva dal violino molto stilizzato che gli spicca sul dorso. Di colore marrone-castano, il corpo misura al massimo un centimetro, le esili zampe tre o quattro. Per certi versi, le sue dimensioni ridotte sono inversamente proporzionali alla paura che il Loxosceles rufuscens incute: spesso, sono le minacce invisibili le più temute. Individuare questo ragno è difficile anche perché a differenza di molti stretti parenti non tesse tele. Anzi, all'esterno si infila sotto le pietre, mentre negli edifici, dove predilige ambienti meno frequentati come le soffitte, si acquatta tra i cartoni, tra i mobili, nelle crepe dei muri e dietro ai battiscopa, da dove esce in cerca di prede.
«A volte, ed è forse uno degli aspetti che possono rendere più facile la morsicatura - aggiunge Calzolari - si nasconde nella biancheria e tra gli abiti appesi o si infila nelle scarpe; è invece difficile che entri negli armadi o nei cassetti, se sono chiusi». Privo di caratteristiche aggressive, è però facile immaginare che venendo a diretto contatto con l'uomo, reagisca d'istinto. Difficile la prevenzione, anche se una buona pulizia domestica è sempre consigliabile. «Certo, si scoprono queste “presenze” in casa, è bene procedere a una disinfestazione. Inoltre, chi viene morsicato, dovrebbe catturare il Loxosceles rufuscens, o il presunto tale, o almeno fotografarlo perché si sappia con quale veleno si ha a che fare».
E qui sta una delle altre complicazioni del confronto con l'incubo a otto zampe subdolo pure negli attacchi. «Il morso è notturno e non doloroso. Gli effetti cominciano a manifestarsi dopo diverse ore» spiega Erminia Ridolo, responsabile di Allergologia e Immunologia clinica dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Parma. I segni tardano a comparire, ma poi rischiano di durare. «Il veleno - procede la docente - ha un'azione citotossica, contenendo numerosi enzimi emolitici e proteolitici che possono determinare diversi quadri clinici. Nella forma solamente cutanea, si forma in sede di morso una lesione pustolosa che si ulcera e impiega settimane o anche mesi a cicatrizzarsi, mentre si possono venire a formare aree necrotiche a distanza dal punto di morsicatura, specie in zone adipose». Fondamentale, quando è presente una lesione che tende ad avere una necrosi centrale che progredisce, è contattare subito il Centro antiveleni e/o recarsi al Pronto soccorso per una valutazione. Ma, in particolare, in questo caso, oltre alla medicazione è importante la prevenzione delle sovrainfezioni con adeguata terapia antibiotica, perché una terapia specifica contro il morso del Loxosceles rufuscens non c'è (il caso è molto diverso dalle punture di vespe e calabroni gli effetti delle quali possono essere efficacemente trattati in maniera risolutiva utilizzando antistaminici, cortisone e, se necessario, adrenalina intramuscolo).
«In genere, si procede con l'applicazione di ghiaccio, terapia analgesica per via orale e profilassi antitetanica. Antistaminici topici o per via orale così come gli steroidi sono efficaci come sintomatici ma non prevengono l’evoluzione della lesione e non accelerano il processo di guarigione che, di solito, è spontaneo».
Le conseguenze possono variare da soggetto a soggetto. «Nella forma più grave, viscero cutanea il coinvolgimento diventa sistemico e l’ospedalizzazione è mandatoria - prosegue Erminia Ridolo -. Infatti si manifestano febbre anche molto alta, nausea e vomito, dolori muscolari e articolari, fino alla coagulopatia e all'emolisi, con esiti raramente letali». Come nel caso dello sfortunato 23enne salentino morto in questi giorni. Giovane, ma con un quadro clinico non proprio ottimale. A incidere in questa tragedia potrebbe anche essere stata la terapia immunosoppressiva alla quale il 23enne doveva sottoporsi per la cura di patologie reumatiche. La lesione, probabilmente trascurata in un primo tempo, potrebbe essersi sovrainfettata, portando alla fine al decesso per shock settico e conseguente insufficienza multiorgano.
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