LA 15ENNE TROVATA MORTA
Aveva fame di vita. Di sapere, conoscere, approfondire. Nina (la chiameremo così) è morta di droga a 15 anni in casa di un amico nella notte tra l'11 e il 12 agosto, ma non era un’anima persa. Dolore, paura: aveva già provato tutto nella sua breve esistenza. Eppure, era una piccola donna piena di progetti, di traguardi da raggiungere. A costo di fallire, di dover ricaricare le batterie e ripartire. «Mia figlia non aveva un spirito autodistruttivo, aveva degli obiettivi davanti a sé e non ho mai avuto la prova né la sensazione che fosse una tossicodipendente», racconta il padre.
Dopo le medie, Nina aveva assecondato la sua vena creativa e si era iscritta al Toschi, ma alla fine del primo quadrimestre aveva cambiato rotta. Decise di passare al liceo classico, al Romagnosi. «Aveva compreso che la sua passione per l'arte poteva coltivarla privatamente. Si iscrisse al classico e si rese conto subito che era estremamente impegnativa, ma andò avanti. Alla fine dell'anno fu rimandata e poi bocciata, tuttavia decise di ripetere l'anno. Con ottimi risultati e i complimenti degli insegnanti per la volontà dimostrata».
Determinata. Combattente. E soprattutto proiettata al futuro. Con tutti gli slanci e «anche le iperboli emotive dell'adolescenza», dice. E' la «sua» Nina. Ma è anche la ragazzina che tanti amici hanno conosciuto. «Faceva equitazione. E a 14-15 anni capire che bisogna creare un rapporto di vita con un animale, di cui ti devi prendere cura, significa anche assunzione di responsabilità».
Non era stata sconfitta dalle grandi sofferenze che aveva dovuto affrontare. Era stata capace di risorgere disegnando il suo futuro. Progettava e faceva. E forse era diventata ancora più forte. Fluiscono i ricordi di quella ragazzina così entusiasta della vita, e la voce del padre si incrina. L'assenza che improvvisamente fa capolino: mancano i sorrisi, le parole, persino gli scontri. «Avevamo un rapporto di responsabilità e fiducia. L'ho sempre accompagnata e l'andavo a prendere quando usciva con gli amici, perché lei non aveva neanche un motorino. Per lei sono sempre stato un punto di riferimento. Nel bene e nel male, nel senso che ha avuto con me i conflitti tipici dell'adolescenza».
E se qualcosa fosse sfuggito del mondo di Nina? Se proprio a lui avesse nascosto qualcosa? Spesso funziona così, con le persone che ami di più: non riveli le tue fragilità, temi di deluderle. «Il tema della droga era all'ordine del giorno. Io ho sempre pensato che più conosci una cosa, e meno ne hai paura. Ma le dicevo chiaramente: “tutto ciò che può far star bene qualcuno che conosci, non è detto che a te faccia bene”. Ma sono perfettamente consapevole che certe cose possono essere fatte anche in segreto, perché ogni essere umano ha una vita pubblica, una vita privata e una vita segreta. Per questo abbiamo sempre parlato di tutto, perché avesse la capacità di capire e valutare».
I piccoli o grandi segreti che tutti hanno. Ma mai né lui né altri parenti o amici di famiglia avevano avuto la sensazione o il dubbio che Nina assumesse costantemente sostanze stupefacenti. «Ricordo che una volta l'accompagnai in un locale: dopo un'ora mi richiamò per chiedermi di andarla a prendere. E poi mi spiegò: “se sono tutti fuori, io non so cosa fare”».
Ma Nina è morta a casa di un amico 18enne uccisa dalle anfetamine: pastiglie o cristalli che hanno cancellato tutto in una notte. E allora le domande si moltiplicano. C'è urgenza di capire. Quella sera Nina ha inviato due messaggi vocali al padre: il primo, poco dopo le 20, in cui dice di essere a Porporano insieme al 18enne (e comunica anche il numero del ragazzo); l'altro, alle 22,10, quando i due hanno già raggiunto la casa dell'amico, nel quartiere San Lazzaro. «Lei mi avvisava sempre di tutto. E anche quella sera sarei andato a prenderla, al massimo a mezzanotte, perché poi avevo l'esigenza di dormire qualche ora prima di andare al lavoro», spiega il padre. In quell'ultimo messaggio, poco dopo le 22, Nina esprime il desiderio di restare a dormire a casa dell'amico, in modo da non svegliare il padre al suo rientro a casa, visto che lui doveva alzarsi piuttosto presto. E in entrambi i vocali Nina appare lucida e consapevole. «Dove e come è avvenuta l'assunzione della droga? Noi vogliamo arrivare alla verità su ciò che è accaduto e combatteremo per avere giustizia, per capire quali siano le responsabilità», sottolineano gli avvocati Ugo Cacciatore e Paolo Mingori, che assistono il padre di Nina.
Lui che ha saputo cosa era accaduto alla fine della mattina del giorno dopo. La telefonata, partita dalla questura, lo ha messo subito in allarme. «Ero alla fine del turno di lavoro. Mi hanno detto di aspettarli, che sarebbero passati a prendermi, senza darmi ulteriori spiegazioni. Ho capito subito che era accaduto qualcosa di grave. Poi, insieme a due auto della polizia, ho visto arrivare anche l'automedica. E siccome mia figlia non c'era, ho capito che l'automedica era per me».
Ha provato a fare altre ipotesi. Si è attaccato alla speranza. Disperatamente. Fino all'ultimo.
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