Intervista
È un “assegno in bianco” - si sarebbe detto una volta - Michele Pertusi: giovedì sera al Teatro Regio inaugurerà, nei panni di Banquo, il Festival Verdi 2024 con la versione francese di «Macbeth». Oggi che gli assegni di carta praticamente non ci sono più, resta più che mai una certezza la qualità della voce del nostro Basso, profilo da celebrato cantante internazionale e cuore «pramzàn» d'Oltretorrente, con i tempi sempre giusti per una battuta di spirito, come sa chi lo conosce.
«Sono uno dei pochi cantanti della mia generazione ancora in carriera» dice, come se riprendesse il filo di un suo pensiero, appena ci vede arrivare in camerino per l'intervista.
E a cosa attribuisce questa longevità professionale? La fortuna c'entra ma non è solo quella.
«Sì, è fondamentale ma serve anche altro. Intanto io ho scelto con determinazione di fare questo lavoro, e questo è un buon viatico perché se non ti piace quello che fai, non resisti in questo mondo complicato non solo per i rapporti umani; è faticoso per gli impegni, per i viaggi, per i sacrifici familiari, per lo studio... ecco io studio molto. La tecnica meriterebbe un discorso particolare. Ci sono varie tecniche: faccio un esempio banale, 15 anni fa non cantavo nel modo in cui canto adesso. Non è che 15 anni fa non avessi tecnica ma c'è un'evoluzione che parte da un cambiamento fisico. Quindi prima cantavo le opere di Rossini, con molto virtuosismo, adesso non le potrei più interpretare; per contro, 15 o 20 anni fa, non avrei potuto cantare i ruoli verdiani che canto ora. Il cambiamento va governato, diceva Mirella Freni».
Michele Pertusi oramai è un «apristagione», quasi un porta fortuna...
«Il Festival l'ho aperto così tante volte che non ricordo neanche quante. Anche con un Macbeth ma in italiano, la versione di Firenze per capirci»
Cosa cambia nelle due versioni per Banquo?
«Il testo fa molta differenza perché chiaramente il francese dà un colore completamente diverso, anche la scansione delle consonanti tende a essere più morbida».
Lei non ha problemi con la lingua francese perché è spesso a cantare in Francia. Inoltre qui avete un coach madrelingua.
«È una figura, non dico fondamentale, ma quasi quando si prepara un'opera di questo tipo. Ci fa sottolineature molto puntuali, aiutandoci anche a cercare il “colore” della lingua. Mi piacerebbe che i teatri usassero un coach anche per la lingua italiana quando si canta con colleghi stranieri».
Per la sua parte, immaginiamo che abbia studiato con la sua “storica” maestra, Ciako Tanaka.
«Sì, ma sono stato molto fuori per lavoro per cui ho studiato con Ciako Tanaka all'inizio e alla fine del percorso di preparazione, nella parte centrale ero all'estero, l'ho ripreso da solo».
Cosa c'è di Michele pertusi in Banquo?
«Purtroppo il personaggio in Verdi non ha molto sviluppo, è più limitato rispetto a Shakespeare. È un po' come se fosse il capo dei servizi segreti, colui che conosce veramente quello che sta nell'animo di Macbeth e della Lady; per quello poi lo uccideranno. In qualcosa ha a che fare con il mio carattere: è molto leale, schietto, vero, lo vedo molto fedele ai suoi compiti, un libro aperto».
Il regista francese Pierre Audi “astrae” l'ambientazione...
«Non vorrei rovinare la sorpresa. Possiamo dire che l'ambientazione ricorda l'Ottocento, l'epoca di Verdi. Anche a livello di recitazione, la parte “medioevale” non l'abbiamo se non in qualche tocco».
Sul podio il maestro Roberto Abbado: vi conoscete veramente da tanto tempo...
«Ho debuttato in scena con lui! Il debutto in forma di concerto avvenne con il maestro Bartoletti. Ma in scena debuttai con il maestro Abbado a Modena nel 1984 in “Ernani” di Verdi. E poi da lì tantissime altre volte».
1984-2024: sono 40 anni di carriera. E a breve 60 anni anagrafici. 40 più 60 fa 100: bisognerà festeggiare...
« Sì, con la pensione! (ride, ndr)... No, non lascio finché la forma vocale tiene, sarebbe un peccato. Ma quando non ci sarà più la forma vocale, occorrerà farci un pensierino...».
Restiamo su «Macbeth» allora. Opera sul potere, filo conduttore del Festival 2024. È per l'attualità del tema che ci piace sempre quest'opera?
«Forse anche per questo. Ma anche perché è stata diretta da grandi “bacchette” che hanno esaltato la bellezza di questa musica di Verdi».
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