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Uccise la moglie con una mazza da cricket, via al processo. I figli non si costituiscono parte civile: la casa di famiglia come risarcimento

Uccise la moglie con una mazza da cricket, via al processo. I figli non si costituiscono parte civile: la casa di famiglia come risarcimento

24 Settembre 2024, 03:01

Camicia bianca, jeans e occhiali, Lal Onkar si avvicina a passi lenti alla porta sul retro del palazzo del Tribunale. Lo sguardo proiettato a terra, riemerge dai suoi pensieri e alza il volto solo quando sente gli scatti della macchina fotografica. Il volto tranquillo della normalità, che ormai non stupisce più, eppure il 28 novembre 2023 nessuno era riuscito a bloccarlo mentre si accaniva con una mazza da cricket sulla moglie Meena Kumari, 67 anni, inseguendola fino all'ingresso della casa di via Trento.

Uccisa per motivi futili e abbietti e in un contesto di maltrattamenti, secondo la procura. Tutte aggravanti da ergastolo, così come quella prevista per il rapporto coniugale. E' cominciato, ieri, il percorso (complicato) di Onkar per cercare di dribblare il «fine pena mai»: via al processo davanti alla Corte d'assise, presieduta da Paola Artusi (giudice a a latere Alessandro Conti). E la difesa, rappresentata da Donata Cappelluto, ha subito calato una carta che potrebbe avere un certo peso nella concessione di eventuali attenuanti: Onkar, 69enne, origini indiane ma cittadino italiano da oltre vent'anni, ha firmato davanti a un notaio, appositamente entrato in carcere, una transazione in base alla quale l'appartamento di via Trento passerà ai quattro figli. Un risarcimento, ancora prima dell'inizio del processo, che è stato accettato, e così nessuno si è costituito parte civile.

Da una parte l'offerta della casa, oltre che dell'auto intestata a Onkar, dall'altra anche la disponibilità da parte della difesa di consentire l'acquisizione di gran parte degli atti delle indagini preliminari. Nei prossimi giorni l'avvocata Cappelluto e il pm Fabrizio Pensa si incontreranno per accordarsi su quanto far trasmigrare direttamente nel fascicolo del processo. Un passo avanti della difesa - e quindi anche un comportamento processuale dell'imputato - destinati a incidere sul giudizio della Corte.

Non c'è un assassino da scoprire. Il 28 novembre erano state le urla di Meena a richiamare l'attenzione della carabiniera Noemi Schiraldi: fuori servizio. mentre passava in via Trento, dalla porta semiaperta a piano terra aveva scorto il corpo della donna sul pavimento e si era precipitata dentro. Onkar stava colpendo la moglie al volto. Era riuscita ad allontanarlo. A fargli gettare la mazza. Ma per Meena era troppo tardi.

Quel giorno avrebbe osato portare in casa alcune piante, e si era creato un po' di disordine. Una «colpa» che sarebbe bastata, secondo l'accusa, per far scattare la punizione del marito. Ma l'omicidio sarebbe stato l'atto finale di una lunghissima serie di maltrattamenti, cominciati oltre vent'anni prima.

Lui, custode di stalle, fino alla pensione. E Meena che si dava da fare con i lavori di pulizia. Con quattro figli, uno dei quali residente con la moglie al piano di sopra della casa di via Trento, cresciuti in Italia e integrati. Erano consapevoli di quei conflitti familiari, ma la madre non aveva mai denunciato. Eppure, già dal 1997, Meena avrebbe subito insulti, umiliazioni e minacce. Fino all'orrore di quella mattina.

Georgia Azzali

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