INTERVISTA
Un Macbeth straordinario, musicalmente fenomenale, guidato da un Roberto Abbado ieratico e posseduto del dio della melodia, sempre in tensione, scosso da un’energia interiore. Un successo enorme, il loggione in estasi, applausi a scena aperta, numerose grida di «bravo e bravi». Un’orchestra magnificamente in forma, attacchi morbidi, colori di cupezze grevi e buie alternati a sciabolate di dolore e di morte. Un coro che ha fornito una prova di straordinaria sensibilità ed efficacia, sotto la guida del Maestro Martino Faggiani, capace di passare da pianissimi di desolata e dolorosa profondità a squilli e masse sonore da brividi e terrori. Una domenica pomeriggio di emozioni intense. Davvero una esecuzione di rara efficacia di questo Macbeth francese, sistemato da Verdi nel 1865, 18 anni dopo la Prima a Firenze nel 1847. Opera dedicata al benefattore e padre putativo Barezzi, presente alla Prima insieme a Muzio, bussetano nato a Zibello, l’unico allievo di Verdi. Insomma l’opera più «nostrana» del Grande Roncolese.
Il giorno dopo è un Roberto Abbado «aux anges» quello che accetta di parlare di questa magica rappresentazione. Lo fa con il suo solito garbo e una ritrosia a parlare di sé stesso. Sicché tocca al cronista scuoterne l’aplomb.
Maestro Abbado, lei sul podio sembrava attraversato da un’alta tensione, filiforme in una sorta di incorporeità lei sembrava sottratto alla legge di gravità.
«Sì? Beh, quando dirigo Verdi mi sento raddoppiare il piacere e le forze. Questo Macbeth poi è una cosa grandiosa. Già era ed è un capolavoro la prima versione scritta nel 1847: con Verdi che al solito spiazza e stupisce tutti con un’opera che segna la fine del Belcantismo, e che nel 1865 a Parigi rivela poi appieno l’inarrivabile maestria di compositore audace che scopre nuovi colori orchestrali. Un cosa stupefacente».
Macbeth e la Lady sono due nuove facce del potere. Argomento centrale nella drammaturgia verdiana. Qual è la novità di questi due esseri tremendi?
«Sì ed è il potere elevato alla massima atrocità. E’ una coppia che si incammina sul sentiero della superbia e della disponibilità a commettere il male. Una coppia che vive la dimensione più maniacale del potere che fagocita tutto e tutti. Non a caso la coppia assassina non lascia eredi, implode per malvagità d’animo».
Quindi occorrono a Verdi nuovi colori orchestrali e vocali…
«La partitura è zeppa come mai le altre di indicazioni: Verdi vuole un canto sussurrato, o addirittura un “suono muto”: una tortura per i cantanti chiamati a una prova tremenda. Perché qui Verdi vuole addirittura che “cantino male”. E oltre a una tinta melodica cupa e scurissima lui vuole che voci e orchestra siano in grado di segnalare i repentini cambi di umore. In sostanza Verdi crea caratteri da “manuale di psichiatria’’. Il tutto raccontato con cambi improvvisi di ritmo e squarci sulla discesa agli inferi della coppia malvagia... Ma anche qui si rivela la grande umanità, l’immensa pietas del grande uomo che è stato».
Maestro può fare un esempio di questa sensibilità verdiana?
«C’è da subito, proprio in apertura: qui la grandezza di Verdi si rivela nel presentarci la Lady, donna glaciale capace di ordire i delitti più efferati. Ebbene, ecco che Verdi ce la presenta nell’introduzione orchestrale con un bellissimo tema così triste e carico di dolore. In questo motivo - che poi riapparirà nella scena del Sonnambulismo - Verdi dimostra tutta la sua umanità, provando pietà persino nei confronti di questa assassina».
Lady Macbeth interpretata in maniera sublime dal soprano Lidia Fridman. Una cantante formidabile…
«Sì, proprio! Nel canto e nell’interpretazione del canto, questa ragazza – mi permetto di chiamarla così perché ha solo 28 anni – ha rivelato un talento canoro e complessivamente una dote musicale che le viene dall’essere una brava pianista. E poi lo stile, le movenze, la figura slanciata, il viso… Insomma una brava cantante, brava musicista dalla profonda sensibilità e una brava attrice!».
Il Macbeth di Ernesto Petti è parso di grande efficacia, una scoperta di assoluto valore…
«Sono molto contento del meritatissimo successo di questo giovane baritono di grande classe. Si è impegnato in maniera esemplare, un vero professionista. E mi preme sottolineare il lavoro anche fisico che Ernesto ha compiuto per dare al personaggio di Macbeth una forza malvagia ma potentissima. E poi Luciano Ganci, un giovane tenore con già una buona esperienza, è stato un Macduff squillante e sicuro di sé: bravissimo! ».
Il Coro è stato uno dei motivi trainanti di questo successo?
«Certamente, è stato di una bravura indicibile, finissime cesellature e poi esplosioni controllate con la maestria di Martino Faggiani, che voglio ringraziare pubblicamente per i meriti acquisiti facendo del coro del Teatro Regio un patrimonio artistico e culturale del quale Parma può andare oltremodo fiera. Sarebbe bello che stasera il Coro e Martino fossero applauditi da molti spettatori a Busseto, nel Teatro Giuseppe Verdi, per un concerto di sicura grande qualità».
Non possiamo certo, Maestro Abbado, dimenticare un tal Michele Pertusi, elegantissimo ed efficace Banquo…
«Lei mi invita a parlare di un artista immenso. Ci conosciamo giusto da 40 anni, siamo diventati amici veri. Non a caso Michele ha offerte da tutto il mondo. E’ una sicurezza confortante per un direttore sapere che Pertusi è in scena. Lui è impagabile, per dedizione al personaggio e senso musicale».
Pertusi ci sarà giovedì per la rappresentazione finale Ieri (domenica ndr) è stato sostituito da Riccardo Fassi. Applaudito a lungo.
«Mi ha fatto molto piacere perché è un giovane basso di buon talento. A quell’età misurarsi con personaggi verdiani, e proprio a Parma!, è un’esperienza formativa e un’occasione pr che Fassi, da ragazzo sveglio che è, non la sia fatta sfuggire».
Grazie Mastro Roberto Abbado.
«No no, son io che attraverso la Gazzetta di Parma voglio ringraziare i parmigiani e i parmensi per la stima e l’affetto che mi dimostrano. Viva Parma, Busseto e viva Verdi».
Vittorio Testa
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