INTERVISTA
«L'inizio è stato duro: i parmigiani sono molto gelosi delle proprie virtù e tradizioni, sicché all’inizio mostrano qualche diffidenza verso il nuovo arrivato, sono un po’ freddi. Ma poi una volta che ti accettano si sgelano, si rivelano spiritosi, simpatici e colti. Adesso non potrei vivere in un altro posto che non fosse Parma».
Mihaela Costea ha lo sguardo scuro e profondo; il sorriso largo ed enigmatico , gli occhi mutevoli di chi per necessità professionale deve comandare un gruppo di lavoro soltanto con gli sguardi. La professoressa Costea festeggia infatti i 25 anni di primo violino e violino di spalla dell’Orchestra Toscanini, uno dei vanti parmigiani. Peccato che il Signore il giorno della creazione abbia abbia dotato i ragni di ben otto occhi e ignorato la necessità di un rafforzamento oculare per i primi violini. I quali, poveretti, hanno un compito multiplo e contemporaneo: devono suonare guardando la parte sul leggio; capire che cosa voglia da loro, a gesti e sguardi cangianti, il direttore d’orchestra: poi a sua volta il capofila dei violini deve trasferire i voleri del quasi sempre esagitato direttore all’orchestra, al secondo dei violini primi e al primo dei violini secondi. Tutto in silenzio e mediante solo sguardi. Insomma, al di là delle facezie, è del tutto normale che in un tal contesto la vista debba raddoppiarsi nell’intensità espressiva aumentando la capacità «vocale» degli sguardi. E infatti eccoci qui davanti alla Professoressa Costea, dagli occhi curiosi e rapidi a farti i raggi X. E’ abituata all’imperio silente tramite gli sguardi: ed è normale che vi siano colleghi che la giudichino fredda e a volte crudele: sempre esigentissima. Chiediamo: soffre per questo giudizio? «Ma per niente. E diciamo pure che so come certuni mi chiamano con un insulto di due sillabe…». Sì, il bisillabo coprolalico di conque lettere: Esse-Tì-Erre-O-Enne-Zeta-A. «No non lo sono - protesta lei -. Sono una persona che ha e chiama alle responasabilità: quindi si deve lavorare bene: tutto qui».
Questa musicista precoce e di grande classe, arrivata a stabilirsi a Parma nel Duemila, dopo aver primeggiato in tanti concorsi vinti in giro per il mondo, già concertista e solista di successo. Sorride spesso, nel raccontare la sua storia di artista ormai famosa e ricercata dai più prestigiosi teatri e dai più famosi direttori d’orchestra, oltre che come concertista e solista di successo. La bella avventura artistica e umana di Mihaela ha il suo incipit in Romania, a Iasi, città della regione Moldava, dove nasce, figlia di una coppia di elettricisti, il 19 agosto del 1976. E’ la Romania del satrapo Ceausescu, regime duro che odia la televisione. Unico ascolto consentito sono i concerti trasmessi ogni pomeriggio. E sono la fortuna di Mihaela che a già a tre anni comincia a pazziare per il violino: «Mia madre mi raccontava delle mie estasi strillanti per i violinisti. E crescendo cresceva la chiamata inesorabile dello strumento il cui suono aveva su di me un effetto magico, stupefacente. A cinque anni - ricorda la musicista - venni affidata alla scuola musicale, una specie di conservatorio». Poi arriverà il conservatorio vero e proprio, anzi due: quello di Iasi la sua città e quello di Pesaro, famoso per via del grande Gioachino Rossini. A 16 anni incomincia a far incetta di vittorie nei concorsi, e frequenta scuole di perfezionamento: tra le quali i corsi di Salvatore Accardo. «Che resterà per tutta la vita - dice, sorridendo un po’ triste - il musicista che più mi ha dato sicurezza e qualità». E finalmente nel Duemila eccola a Parma. Sono stati 25 anni di successi, a capo di un’orchestra recante il nome del leggendario parmigiano Arturo Toscanini, nella città autoproclamatasi capitale Verdiana. A proposito: Verdi che cosa significa per lei? «Significa lo stimolo a studiare sempre di più per eseguire al meglio le opere di questo Titano musicale. Ma sono molto attratta anche dalle meravigliose armonie di Puccini: diciamo che Verdi è come Omero, epico e umanista ti scuote l’anima e la coscienza, ti muove al pianto e alla gioia estatica; Puccini invece è un compositore che trova nelle normali vicende sentimentali la musica che sublima la quotidianità. Un pregio di valore altissimo».
E da violinista quali sono i capisaldi del suo gusto sinfonico? «Sono innamorata persa dei 3B: Bach, Beethoven e Brahms. Amo molto anche la musica del Novecento, ma se dovessi scegliere un solo compositore direi Beethoven: tra l’altro, ho la fortuna di eseguirlo con la mia orchestra: il che mi da una gioia in più».
A proposito di Bach, un intellettuale suo conterraneo, Emile Cioran, ha scritto un aforisma stupendo: «Dio deve moltissimo a Bach!». «Sì, è un bellissimo paradosso», risponde sgranando gli occhi nello stupore: «Ma anche Bach deve moltissimo, anzi, tutto a Dio. Da persona molto religiosa credo infatti che il talento sia un dono di Dio - dice la professoressa -: Bach è stato soprattutto un compositore di fughe. La fuga è una forma costrittiva che penalizza la fantasia. Ma lui riesce a raggiungere la massima espressività con la costrizione più severa e un perfetto ordine matematico. Un artista di questo livello non è più soltanto un uomo ma un prescelto toccato dalla grazia divina!».
E dei direttori con i quali ha lavorato, quali sono quelli che le hanno dato le magggiori soddisfazioni? «Ho nel cuore un grande Maazel, e Dutoit, Chung, Foster… Tutti musicisti capaci di far provare un’emozione particolare. Sempre attenti alla partitura, al volere del compositore, senza concessioni alla cosiddetta tradizione che spesso significa un’esecuzione stanca e ripetitiva». Un'altra esperienza che la Costea ricorda molto volentieri è l’Aida di Zeffirelli andata in scena a Busseto nel 2001. «Un capolavoro di regia. Il genio puro, teatrale di Zeffirelli che riesce incredibilmente a far sembrare sconfinato il piccolo palcoscenico. E poi suonare nel Teatro Verdi, a Busseto, un luogo denso di evocazioni, è stata un’emozione di quelle indimenticabili».
Un'ultima domanda, professoressa. E’ sposata, ha figli?
«Sì, sono moglie di un avvocato, e madre di una figlia di 16 anni».
Che seguirà le orme materne? «Per niente. Suonava bene il pianoforte: ma poi ha smesso di colpo...».
Per un altro strumento? «No… Gioca a golf».
Beh, più che comprensibile, voler sfuggire al giudizio di cotanta madre. Non crede?
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