A Parma
«Alla Gioia» è un invito benaugurante. «Alla Gioia» è condivisione di una speranza in musica. «Alla Gioia» è il titolo del doppio concerto che Roberto Abbado dirigerà a Parma (Auditorium Paganini, martedì 31 alle ore 18 e mercoledì 1 gennaio alle ore 11.30) sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio preparato da Martino Faggiani; solisti Veronica Marini soprano, Olivia Vote mezzosoprano, Santiago Sánchez tenore, Luca Tittoto basso.
Un'ora e mezza in compagnia della «Nona» di Beethoven, capolavoro di potenza immutata da 200 anni. Della forza di questa partitura parliamo con Roberto Abbado, 70 anni proprio domani, che, qui, ci anticipa che tornerà al Festival Verdi 2025.
Maestro, la Nona esalta, illuministicamente, il lato migliore della nostra umanità. Cosa significa per lei dirigerla?
«È un grande onore poter dirigere questo che è uno dei capolavori della storia della musica e della storia dell'arte, particolarmente adatto a un concerto di Capodanno perché l'Inno alla Gioia, sul testo di Schiller, esprime contenuti di fratellanza e di unione dei popoli. Inoltre la sinfonia tutta, nell'arco della storia della musica, è l'opera che segna l'inizio di una nuova era, quindi è molto significativa anche in questo senso».
In che senso, musicalmente, segna una nuova era?
«Perché è la fine di un percorso, quello della sinfonia, iniziato nel Settecento che aveva dato grandi risultati. Beethoven aveva composto otto sinfonie precedentemente, che sono otto capolavori, e qui si spinge oltre; si spinge verso dimensioni ancora più ampie, tutto è più ardito, è più complesso. Beethoven riesce a infrangere gli schemi formali, quelli classici, e vengono riplasmati i principi compositivi; arriva a una forma sinfonica che ha momenti di rapimento e abbandono alla fantasia per cui anticipa tantissimo il Romanticismo. Questa sinfonia divenne un modello per le generazioni a seguire di compositori durante tutto l'Ottocento».
Lei dirigerà due ensemble che conosce molto bene, la Filarmonica Toscanini e il Coro del Teatro Regio di Parma: si sentirà un po' a casa.
«Assolutamente sì. Infatti non vedo l'ora di arrivare a Parma e di incontrare di nuovo, per far musica insieme, la Filarmonica Toscanini e il Coro del Teatro Regio, entrambi dei complessi di altissimo livello».
A proposito di Parma, è impossibile non ricordare tutte le sue volte al Teatro Regio e al Festival Verdi, di cui è stato anche direttore musicale. Nell'ultima edizione, ha diretto il “Macbeth,” versione francese, che aveva già fatto in maniera sfidante in epoca pandemia, all'aperto al Parco Ducale. Sarà presente anche al Festival 2025?
«Sì, non posso dire cosa dirigerò, ma ci sarò. Questo mi sento di dirlo. Poi è vero, a Parma le cose si sanno, però ufficialmente, finché non faranno la conferenza stampa del nuovo Festival, di più non posso dire».
Insomma, ci sarà: con un'opera o con un concerto? Ci dica almeno questo...
«Con un'opera, però non posso andare oltre».
Va bene, fermiamoci qui. Maestro, a Natale si torna un po' tutti i bambini. Se le chiedo di tornare bambino con la memoria, qual è il suo primo ricordo legato alla musica? Lei viene da una famiglia di artisti...
«Ricordo mio padre (il pianista e compositore Marcello Abbado, ndr) che suonava dei pezzi di Schumann per pianoforte, avevo tre anni circa».
E che cosa la affascinava: il bianco e il nero dei tasti, la danza delle mani, la musica?
«No, io mi mettevo sotto la coda del pianoforte ad ascoltare la musica: è un'esperienza meravigliosa che consiglio a chiunque, grandi e piccini, perché sotto un pianoforte a coda la musica è fortissima, il corpo vibra insieme alla musica, è un'esperienza fisica e emotiva straordinaria».
Terrà un concerto benaugurante, dunque, se dovesse esprimere un desiderio - per se stesso, per la musica, per il mondo, per chi vuole - quale sarebbe?
«Uno? Uno solo? Dico la cosa più ovvia: pace. Pace. Anche in questo senso la Nona Sinfonia di Beethoven ha molto da dire».
Info: www.fondazionetoscanini.it.
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