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Il lunario inaugurava l'anno nuovo: stagioni e santi erano presenze amiche

Il lunario inaugurava l'anno nuovo: stagioni e santi erano presenze amiche

di Lorenzo Sartorio

30 Dicembre 2024, 03:01

Anche in pieno terzo millennio, nonostante le avanzate scoperte della scienza e i sofisticatissimi strumenti che possiamo utilizzare, molti agricoltori (quasi tutti), prima di iniziare un lavoro sia nel bosco, nell’orto, nei campi che in cantina nel periodo della vinificazione, consultano la luna affidandosi ai saperi degli antichi lunari considerati una sorta di «vangelo del contadino». Ma anche le «rezdóre» erano fedeli al loro lunario basti pensare che le venerande, specie in campagna e in montagna, si mettevano in agitazione, almeno un mese prima, per accaparrarsi il loro lunario, come quello famoso di «Frate Indovino», per poi «spianarlo» il 1° gennaio.

La gente, oggi, il calendario, lo ha inserito nel cellulare, sul computer, addirittura nell’orologio. Insomma, il calendario, è divenuto un che di impalpabile, quasi invisibile. Pochi, ormai, lo appendono al muro o lo tengono sulla scrivania. Cose d’altri tempi. I nostri vecchi il calendario, non solo lo tenevano appeso al muro delle cucinone patriarcali accanto al camino ma, addirittura, lo leggevano e lo consultavano quasi si trattasse di un oracolo. La televisione era un miraggio, la radio quasi, per non parlare dei giornali o delle riviste che, specie in campagna e in montagna, si vedevano si è no in canonica (con «Avvenire»), nell’ufficio del sindaco o nella sala d’aspetto del «sjòr dotór» dove non poteva mancare la «Domenica del Corriere». Quindi, specie alla sera, quando quella masnada di pargoli era stata messa sotto le coperte, il «rezdór» e la «rezdóra» non era raro leggessero il loro lunario che riportava proprio di tutto: santi, mercati, lunazioni, periodo delle semine, consigli pratici per la casa, effemeridi, modi di dire, proverbi, mercanti da neve, saggezza popolare nonché empiriche previsioni meteo che, il più delle volte, ci… azzeccavano come quelle dell’indimenticato Amelio Zambrelli, mitico «conoscitore atmosferico» di Reno di Tizzano, che i lettori della Gazzetta di Parma, «over anta», ricorderanno ancora con simpatia in quanto le sue previsioni venivano settimanalmente pubblicate precedute da quel fatidico «sappiatevi regolare».

Comunque, anche le previsioni meteo dei lunari di ieri affidate alla luna, affascinavano i nostri vecchi molto più attenti e sensibili di noi al linguaggio della natura, al magico fascino dell’alternarsi delle stagioni o al mutamento del tempo che, una volta, gli anziani interpretavano anche dal fumo del comignolo, dalle lingue del fuoco del camino, dal rumore dell’acqua dei ruscelli, dai fiori, dall’urlo del vento, dal volo degli uccelli, dal canto del gallo, dallo strofinìo delle zampe dei gatti sulla testa o dalla noiosità delle mosche.

E, parlando dei vecchi lunari, è stato un vero peccato che quest’anno («per raggiunti limiti d’età» dei componenti della redazione) non sia più nelle edicole quello di «Parma Nostra» realizzato, interamente in «djalètt pramzàn», per ben 40 anni dal sodalizio parmigiano presieduto da Giuseppe Mezzadri. Il pregio più importante dei lunari di ieri, per la gente dei campi, era il fatto che riportassero le fasi lunari.

Recita un saggio adagio popolare «al pajzàn sensa la so lón’na l’è cme ‘l bròd äd capón sensa anolén». Di più, la luna per i nostri nonni, era una preziosa consigliera, un vademecum naturale, un talismano da sfogliare continuamente allo scopo di non vanificare il lavoro svolto. E allora, prima ancora di impugnare vanga, falce e badile ci si affidava a colei che illuminava le buie notti padane sciabolandole con raggi d’argento. Tutti gli antichi lunari, alla luna e alle sue fasi, dedicavano grande spazio per il fatto che, non solo gli uomini erano interessati a seguire l’antico prodigio, ma anche le donne le quali, memori degli «antichi saperi», come le «medicone» («medgon’ni»), erano certe che il movimento lunare regolasse il corso delle incubazioni, delle nascite e dei cicli mestruali, specie delle ragazze, che veniva tenuto molto d’occhio dalle mamme nel timore di sorprese...

Secondo un antico e ormai ingiallito lunario, «la Luna può turbare la salute fisica e mentale degli uomini. I coltivatori più colti sanno i suoi effetti sulla piantagione degli alberi e sulla gestazione degli animali». Infatti la romantica luna, alla quale poeti e scrittori dedicarono molte opere, può essere, addirittura, un «termometro» della salute dell’uomo. Era, specie in campagna, credenza diffusa che la luna esercitasse un’azione certa sulla balbuzie. «Essa mostra pure su molti individui - sta scritto nell’antico lunario piacentino - la sua azione con l’aggravamento di strabismo nei fanciulletti e con reazioni verminose».

Ma ritorniamo alla vita dei campi dove la luna è sempre stata interpellata e consultata come un oracolo. Infatti, l’antica saggezza contadina, attribuiva alla luna la germinazione, la fertilità e la prosperità dei vegetali. Ad esempio, se i nostri nonni volevano un raccolto di patate come Dio comanda, era bene che scegliessero il periodo tra l’ultimo quarto e la luna nuova. Mentre invece per piselli, fagioli e fave il periodo favorevole va dalla luna nuova al primo quarto. Comunque: dalle semine, ai fieni, alla mietitura, all’uccisione del «nimäl», alla concimazione, alla nascita dei vitelli e dei bambini, alla potatura delle piante, alla pesca delle rane, all’imbottigliamento, alla cura dell’orto, alla castrazione dei galli per «fare» i capponi e alla programmazione del pollaio, tutto, era regolato dalla luna.

A proposito di luna e degli influssi meteo ad essa collegati, è interessante consultare la «Raccolta dei proverbi agrari e meteorologici» di Carlo Rognoni edita nel 1866, ristampata nel 1881, riscoperta da Dante Salsi che ne curò la pubblicazione a puntate nell’«Avvenire Agricolo» nel 1969 a cui seguì un'altra edizione con una dotta presentazione del professor Giovanni Petrolini. Ecco alcuni proverbi «lunari» nel dialetto del tempo: «A la lón’na settimbren’na sett lón a sgh’ inchen’na», «chi guärda la lón’na, va in dal foss», «zerc avsén acqua lontàn, zerc lontàn acqua ‘vsén».

Com’è noto, nel parmense, esistono luoghi dove si dice, o meglio, la leggenda narra di inquietanti presenze notturne legate alle lunazioni come, ad esempio, nel maniero di Soragna dove nelle notti di plenilunio, si aggirerebbe lo spettro di Cassandra Marinoni, meglio conosciuta come «Donna Cenerina» assassinata nel 1573 unitamente alla sorella Lucrezia. A Guardasone, invece, nelle notti di luna piena si aggirerebbe, tra i ruderi della «Guardiola», lo spirito senza pace di Ottobono Terzi. Oltre lo stridor di catene, c’è chi giura di avere udito i gemiti ed i lamenti di coloro che l’aguzzino fece giustiziare nel 1405. Anche il castello di Bardi non è immune da presenze inquietanti in certe notti lunari. È il fantasma di Moroello, comandante delle guardie, vissuto nel ‘400 e suicidatosi per amore. A Montechiarugolo pare che, a maggio, nella «dolce stagion de’ fiori», quando le gaggie profumano di miele e di sole, appaia, nelle notti di luna calante, il fantasma di Bema: una splendida fanciulla che ritorna nel proprio maniero sperando di rivedere il cavaliere di cui era innamorata.

Il vecchio lunario, così prodigo di consigli «lunari», ne fornisce uno davvero singolare: «per avere una folta capigliatura bisogna sempre spuntare i capelli nel periodo della luna nuova». Naturalmente, il suggerimento era rivolto alle «rezdóre». Al «rezdór», invece, le «lune» sulla testa si materializzavano soltanto quando si attardava un po’ di più all’osteria. Ma, questa, è un’altra storia. Infatti, più delle lunazioni, nel caso specifico, contavano i «bicér äd lambrùssc».

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