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I presidi

«Bullismo e violenze legati alla dispersione scolastica»

«Bullismo e violenze legati alla dispersione scolastica»

di Roberto Longoni

06 Gennaio 2025, 03:01

Non è materia di insegnamento, ma di studio anche per loro. I presidi si interrogano su come affrontare e vincere l'ondata di violenza che investe gli studenti delle superiori. Molte aggressioni sono consumate fuori, nei punti di ritrovo dei ragazzi, ma è ovvio che la scuola sia in prima linea. «Il fenomeno - spiega Alessia Gruzza, preside dell'istituto Gadda di Fornovo e Langhirano e presidente di Asapa, l'associazione che riunisce le scuole di Parma e provincia - ha radici profonde ed è diffuso su tutto il territorio nazionale e, purtroppo, anche il nostro non ne è indenne. Chiaramente il problema, per quanto presente su tutta la provincia, trova maggiore penetrazione nella città, dove la concentrazione della popolazione scolastica è più alta. Già nel programma che ho presentato durante l’assemblea dell’Associazione delle scuole autonome della provincia di Parma questo tema era la priorità delle azioni proposte. In queste settimane abbiamo avuto incontri e confronti con gli enti locali e, nei prossimi giorni, è previsto un incontro tra le istituzioni competenti per definire una strategia condivisa».

Si deve fare fronte comune. «Il fenomeno va affrontato puntando sia sulla dimensione repressiva che su quella preventiva - dichiara il provveditore Andrea Grossi -. Per questo l'incontro deciso dalla Prefettura contattata dal mondo della scuola coinvolgerà un po' tutte le istituzioni, dai Comuni alle forze dell'ordine e ai servizi sociali». Oltre ovviamente alla scuola. Qui il primo antidoto, fondamentale. «Il problema della violenza minorile - sottolinea Elisabetta Botti, preside del Toschi - è legato alla dispersione scolastica. Non è sul dopo, ma sul prima che si deve lavorare. Ottimi risultati possono essere ottenuti con l'accoglienza, insegnando la lingua ai ragazzi stranieri altrimenti esclusi dalla realtà con la quale dovrebbero interagire, e creando spazi più belli. Poi, fondamentale, è la collaborazione tra scuola, famiglie e territorio».

La scuola il problema se lo pone da anni, da prima che emergesse con gli appelli di genitori e studenti. «È da dopo il lockdown - sostiene Elisabetta Mangi, preside del Bodoni - che ci facciamo i conti come rete dei dirigenti. Il tema è sempre al centro delle nostre riunioni: ci facciamo carico del malessere dei ragazzi, iscritti a una scuola piuttosto che a un'altra. Gli studenti degli uni sono gli studenti degli altri». Che non sia una novità è confermato da Federico Ferrari. «Nella mia scuola lo riscontriamo da tempo - sottolinea il preside dell'Ipsia -. Lo scorso anno uno studente all'uscita dalle lezioni alle 15,30 venne aggredito da tre coetanei incappucciat, con il volto coperto dalla mascherina anti-Covid: fu picchiato e rapinato ». Ma la violenza, sotto varie forme è sempre più dilagante. «Specie tra i ragazzi tra i 14 e i 16 anni: da questa età in poi il fenomeno non esiste o è ancora più preoccupante - prosegue Ferrari -. All'interno della scuola, si riesce ancora a far rispettare il senso del limite. Il problema è fuori». Dove i cattivi maestri inneggiano a furti, uso di droghe e di armi. «Se pensiamo che “Pistole nella Fendi” ha 58 milioni di visualizzazioni... Ben vengano i presidii all'entrata e all'uscita degli studenti. Ma sono come la tachipirina: qui serve anche l'antibiotico».

Un «farmaco» di una certa efficacia potrebbe essere rappresentato dalla presenza di persone in divisa all'entrata e all'uscita dalle scuole. «I membri dell'Associazione nazionale carabinieri - ricorda Pier Paolo Eramo, preside del Romagnosi - davanti alla Parmigianino, dove si era verificata una scazzottata tra ragazzi, ebbero un effetto molto positivo». Intanto, in mancanza di divise, sono i genitori a farsi avanti. «È vero, ne vedo molti di più che vengono a prendere gli studenti del polo di viale Maria, per evitare che corrano rischi alle pensiline - dice Giovanni Fasan, preside del Melloni -. E lo stesso mi dicono avvenga per il polo di via Lazio». Fasan ricorda un proprio studente che doveva andare da via Pintor a viale Milazzo. «Dei coetanei gli sbarrarono la strada: volevano il cellulare, il portafogli, il giubbotto... Lui tornò indietro e fu accompagnato da una nostra docente su un percorso alternativo». Problema aggirato, ma non risolto. Quando per il loro stesso bene dovrebbero essere i violenti per primi a cambiare strada.

Roberto Longoni

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