APPELLO
Un orizzonte che si restringe sempre più. La prospettiva di Constantin Gorgan resta inchiodata a quei 27 anni di condanna: nei giorni scorsi la prima sezione della Corte d'assise d'appello di Bologna ha dichiarato inammissibile il ricorso confermando così la pena di primo grado. E' lui, come aveva ammesso subito dopo, che il 5 luglio 2022 ha ucciso nel parcheggio di strada Fontanini Vitalie Sofroni, 39 anni, moldavo, il collega che gli aveva anche dato una mano per trovare lavoro come corriere nella ditta del fratello. Ma Sofroni era anche l'uomo che aveva accolto Mariana, la compagna di Gorgan, fuggita da casa insieme alla bambina di 9 mesi perché stanca di subire insulti e sopraffazioni.
Già in primo grado era caduta l'aggravante della premeditazione, ma era stata riconosciuta quella legata ai maltrattamenti. Che da sola avrebbe fatto finire Gorgan all'ergastolo, ma i giudici gli avevano riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, così la pena si era abbassata, e allo stesso tempo era stata considerata la decisione della difesa di far acquisire la gran parte degli atti di indagine. Oltre all'omicidio volontario, erano stati riconosciuti anche i reati di maltrattamenti, violazione di domicilio, minaccia e porto abusivo del coltello.
Una volta scontata la pena, Gorgan, 29enne, moldavo, sarà sottoposto per 5 anni alla libertà vigilata, così come disposto nella sentenza della Corte d'assise di Parma. Confermata, quindi, anche la provvisionale di 50mila euro per Mihaela, la figlia di Sofroni, in attesa del risarcimento che sarà stabilito in sede civile. «Ci spiace per l'imputato, ma riteniamo equa la conferma della sentenza da parte della Corte d'assise d'appello - sottolineano gli avvocati Matteo De Sensi e Alessandra Mezzadri, difensori di parte civile - perché non bisogna dimenticare che il papà di Mihaela ha perso la vita per difendere una ragazza e la sua bambina».
Quel 5 luglio Gorgan era uscito di casa con il coltello e si era fatto a piedi 7-8 chilometri prima di arrivare in via Montanara, sotto casa di Sofroni, in cui da due giorni si era rifugiata la compagna con sua figlia. Si era arrampicato sul balcone ed era entrato nell'appartamento portandole via con sé. Le aveva trascinate fino al parcheggio di via Fontanini, dove Sofroni, avvertito dai vicini, li aveva raggiunti. E lì era morto, colpito da un unico colpo, preciso e profondo, al petto.
Amici e conoscenti, tutti hanno negato che ci fosse una relazione tra Mariana e Vitalie, eppure Gorgan ne era convinto. Lo «riteneva l'amante della sua compagna», così prima l'ha minacciato e poi l'ha ucciso «non per difendersi ma per vendicarsi», aveva sottolineato la Corte d'assise di Parma nelle motivazioni della sentenza. Un omicidio nato dalla gelosia, «peraltro immotivata», secondo i giudici di primo grado. Mariana era una «cosa propria», tanto che aveva deciso «di andarsela a riprendere a casa del Sofroni utilizzando un coltello appena affilato», si leggeva sempre nelle motivazioni della Corte d'assise. Un delitto non premeditato, però, secondo i giudici, perché se avesse programmato di uccidere Vitalie, avrebbe atteso in casa il suo arrivo, invece aveva portato via con sé la compagna e la figlia.
Ma, ora, quei 27 anni potrebbero rimanere inscalfibili. Certo, sarà necessario attendere le motivazioni, ma la possibilità di un ribaltamento in Cassazione, dopo che il ricorso in appello è stato dichiarato inammissibile, è un flebile spiraglio.
Georgia Azzali
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