Intervista
La Grande Mela in questi giorni è spesso “sotto zero”. Non per Luca Salsi accolto con «straordinario calore» al Met, dove pure lo ammirano da tempo: giusto dieci anni fa, fece il giro del mondo la notizia della sua incredibile “doppia performance” quando dovette sostituire all'improvviso Domingo nell'«Ernani» una manciata di ore prima di cantare il ruolo di Enrico nella «Lucia di Lammermoor» per cui era stato ingaggiato.
Adesso è impegnato nel «Rigoletto», recite dal 6 al 19 gennaio, uno dei ruoli più toccanti scritti da Verdi per la voce di baritono, storia di un padre messo alle corde dalla vita ma disposto a tutto pur di proteggere la figlia, Gilda, unica luce. Finirà per piangerne la morte... i figli si possono uccidere anche per troppo amore.
«Sono vent'anni che vengo qui, ma devo dire che stavolta il successo è strepitoso, mai come in precedenza, sia di pubblico che di critica - racconta Salsi al telefono da Oltreoceano, sei ore di fuso indietro rispetto a noi - Che colpo d'occhio vedere questo teatro pieno, 4mila posti. La recita di sabato si è conclusa con una standing ovation. Merito di tutto il cast: Daniele Callegari sta dirigendo in modo impeccabile; l'americana Erin Morley è una bravissima Gilda e Pene Pati, giovane tenore neozelandese, ha una voce molto bella, rende bene il Duca di Mantova».
Allora un'accoglienza così non l'aveva mai trovata, ma è anche vero che il 19 marzo compie 50 anni: è l'età in cui si cominciano a raccogliere i frutti di una carriera e, specie per un baritono, c'è una maggiore adesione ai personaggi.
«Sì, ci ho pensato e sicuramente ho avuto una maturazione sia artistica che personale. Sono in un momento, della mia vita e della mia carriera, in cui la voce è all'apice. Poi, la verità è che noi cantanti un po' di vita vissuta nelle opere la mettiamo sempre. Cioè quello che viviamo nella vita, le esperienze, inevitabilmente, le riportiamo in palcoscenico: la musica tira fuori i sentimenti, anche inconsci. Rigoletto è un padre e, nell'interpretarlo, è evidente che rivivo le emozioni provate con i miei due figli, oramai grandi. Dentro di me scatta qualcosa. Rispetto al pubblico del Met, devo dire che torno qui dopo cinque inaugurazioni della Scala, anche quello magari crea una attenzione nel pubblico».
Questo momento d'oro lo potremo godere anche noi, maggio, a Parma quando verrà al Regio per «Andrea Chénier».
«Sì, anche quello è uno dei miei ruoli, è stata la mia prima inaugurazione della Scala nel 2017, ruolo che avevo debuttato qualche mese prima a Monaco di Baviera. In particolare, il terzo atto è stupendo, non vedo l'ora di farlo “a casa”. Ma già a fine mese, appena rientro da New York, martedì 28 gennaio alle 20.30, sarò al Teatro Municipale di Piacenza per un recital, accompagnato al pianoforte da Nelson Calzi, nel 124° anniversario della morte di Verdi».
In questo inizio d'anno in cui compie i 50 cosa le possiamo augurare? Magari un debutto?
«Confesso che sogni nel cassetto ne ho esauditi molti. Quest'anno è l'anno del Rigoletto: farò cinque produzioni, iniziando da New York per finire l'anno a Zurigo. E pensare che è un'opera che non volevo neanche cantare tanto, hanno insistito il mio maestro e la mia compagna. Se devo dire un sogno, dico “Simon Boccanegra” a Parma al Regio con Pertusi. “Boccanegra” è stata l'ultima opera che ho cantato da corista nel Coro del Regio nel 1996: da lì rimasi talmente tanto affascinato da Renato Bruson - per me il più grande Boccanegra di sempre - che quella emozione ancora mi pervade».
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