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Intervista

Regio, la georgiana Nino Machaidze è Giovanna d'Arco: «Un ruolo lungo e difficile. Mi dà la possibilità di mostrare tutto»

Teatro Regio, la georgiana Nino Machaidze è Giovanna d'Arco: «Un ruolo lungo e difficile. Mi dà la possibilità di mostrare tutto»

di Giulio A. Bocchi

24 Gennaio 2025, 03:01

Prima di lanciarsi in una importante carriera internazionale il soprano georgiano Nino Machaidze aveva debuttato Gilda in un «Rigoletto» al Regio nel 2008 con Leo Nucci. A Parma era tornata per «I pescatori di Perle» nel 2014 e questa sera sarà protagonista nel ruolo eponimo di «Giovanna d’Arco».

Signora Machaidze, come si è avvicinata alla musica in generale?

«Avevo sei anni: in Georgia c’è una grandissima tradizione musicale e si cerca di dare un’educazione a tutti, anche se i parenti non sono musicisti, come nel mio caso. Ho iniziato con il pianoforte, ma non smettevo mai di cantare, neanche a casa, e l’insegnante suggerì a mia madre di cambiarmi classe: a volte cantavo anche alcune note, invece di suonarle. La mia passione era il canto e a otto anni ho iniziato a studiare canto classico, facendo già le prime esperienze come solista».

Ha dovuto aspettare durante il cambio fisiologico della voce?

«Sì, si inizia così subito fino alla muta: a dieci anni mi sono fermata per un anno. Avendo iniziato molto presto facevo già subito i concerti: nelle nostre scuole non ci si limita a studiare in classe, ma ogni settimana ci sono dei concerti e i più meritevoli si esibiscono. Poi a sedici anni sono diventata solista del Teatro dell’Opera di Tbilisi: l’anno scorso ho così festeggiato i venticinque anni di carriera».

Poi è arrivata in Italia...

«Nel 2005 sono andata alla Scala per provare ad entrare all’Accademia: ho fatto il concorso e sono stata scelta insieme ad altri otto, su seicento concorrenti».

Quali sono le sfide di questo ruolo dal punto di vista musicale?

«Con più di quaranta ruoli da protagonista nel repertorio devo dire di aver notato che alcuni ruoli mi danno la sensazione, scherzando, che il compositore pensasse a me quando li ha scritti. Per alcuni basta aprire la bocca ed escono all’istante, su altri bisogna lavorarli passaggio per passaggio. Appena ho scoperto questo primo Verdi (ormai ho fatto anche il più maturo “Don Carlo” ed Elisabetta è ora uno dei miei ruoli preferiti) mi sono sentita a casa mia. Questo ruolo è magnifico: è scritto divinamente. È lungo e difficile, ma mi dà la possibilità di mostrare tutto: più i ruoli sono difficili e più mi affascinano. Mi piace tutto, ogni passaggio, ogni aria, il modo in cui si evolve e cresce il personaggio: nei bellissimi cantabili bisogna impegnarsi a fare il più legato possibile e poi attaccano queste cabalette straordinarie. Sono veramente innamorata di questo ruolo. Lo avevo debuttato tre anni fa a Roma e riprendendolo ora lo sento ancora più mio».

E per quel che riguarda l’aspetto della recitazione?

«Ha tantissimi colori: passa da essere una ragazza felice a vedere fantasmi e sentire voci, sembra tornare in sé e di nuovo si assenta, poi nelle cabalette diventa proprio una guerriera. Passare dalla coscienza all’incoscienza nella recitazione è davvero interessante. È un personaggio molto grintoso: una caratteristica che appartiene anche a me».

Quali sono gli aspetti più rischiosi del ruolo?

«Direi ai più giovani di non sottovalutare i concertati: si pensa che le arie siano più difficili, ma in Verdi è qua che si nascondono i rischi maggiori. Ci vuole tanto controllo e si deve calibrare tutto: c’è il coro che canta e una grande massa orchestrale. Il soprano ha la linea più alta o è proprio da sola, come in Giovanna D’Arco, e quindi deve sempre saper gestire bene le proprie forze e fidarsi della propria voce senza lasciarsi indurre a dare di più per emergere in mezzo a tanto suono: gli altri poi se ne vanno e tu, invece, resti lì a cantare».

Giulio A. Bocchi

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