Sos Congo
La Repubblica democratica del Congo, vittima di una guerra economica che dal 1996 ha causato oltre 10 milioni di morti e 7 milioni di profughi interni, è ancora in crisi profonda per la nuova invasione del Kivu, la zona orientale confinante con il Ruanda e il Burundi.
Un territorio che racchiude enormi giacimenti di cassiterite, tungsteno, coltan, litio e oro, che alimentano smartphone, computer e tablet. Le ricchezze del Congo sono anche la sua dannazione. Dopo la presa di Goma il 27 gennaio da parte dei ribelli del movimento M23 e di Afc (Alliance Fleuve Congo), sostenuti dal Ruanda, continua l’avanzata verso sud, meta Bukavu.
A Goma e dintorni la Croce Rossa ha stimato 3.000 morti, cifra in aumento. Più di un milione di sfollati durante l’avanzata, che dura da oltre due anni, hanno raggiunto la periferia di Goma. In Tanzania, a Dar es Salaam, l’8 febbraio si è svolto un summit straordinario della Comunità dell’Africa orientale (Eac) e della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc) che ha chiesto il cessate il fuoco immediato e la riunione dei capi militari entro cinque giorni per attuare gli orientamenti presi.
Parma è molto coinvolta dalla crisi per la presenza di religiose, religiosi e laiche che stanno accompagnando da anni la popolazione congolese. Come Luisa Flisi, dal 1982 a Goma in veste di missionaria laica fidei donum per un accordo tra la diocesi di Parma e quella di Goma. Con Antonina Lo Schiavo fa parte della Fraternità missionaria fondata da padre Silvio Turazzi, Paola Mugetti ed Edda Colla. «In apparenza la situazione è calma – risponde Flisi al telefono –. I nuovi padroni hanno richiesto il ritorno a scuola e ai posti di lavoro, ma la vita è precaria. Nonostante a Dar es Salaam sia stato chiesto il cessate il fuoco, M23 continua ad avanzare. La navigazione del lago è proibita, l’aeroporto di Goma, mezzo distrutto, è chiuso. Gli aiuti umanitari sono bloccati, gli ospedali stracolmi e non hanno più farmaci».
La casa della Fraternità, sorvegliata giorno e notte per evitare violenze, è a trenta metri dal carcere Munzenze che durante l’invasione è stato dato alle fiamme. 125 donne e 25 bambini sono morti bruciati e asfissiati. Lunedì Luisa ha visto prelevare i cadaveri. «Ero stata in carcere il giorno prima della tragedia. Ci andavo abitualmente con una religiosa e due maestre per insegnare alle mamme artigianato e cucito e per fare giocare i loro bambini. Quando è scoppiato l’incendio gli uomini hanno aperto dei varchi, abbiamo visto qualcuno saltare dal tetto. Hanno cercato di fare uscire le donne, ma le chiavi del loro padiglione non c’erano».
Le due missionarie non intendono lasciare Goma: «Per ora rimaniamo, anche se il Consolato ci ha detto di partire. Ci sentiamo con i saveriani e le altre religiose che vivono a dieci chilometri da qui. Cerchiamo di evitare gli spostamenti».
Padre Franco Bordignon, della parrocchia San Francesco Saverio, zona Ndosho di Goma, era a Bukavu al momento della presa della città: «Qui la situazione è fluida. A 80 km a nord ci sono scontri tra l’esercito congolese e l’M23 che riceve rinforzi dal Ruanda e sta avanzando. Punta a prendere l’aeroporto prima che i capi di Stato si accordino, in modo da avere più peso al tavolo dei negoziati». Il suo confratello Deogratias Bacibone ci racconta da Goma: «Oggi tornando da un quartiere ho trovato un uomo bruciato, non so se era un partigiano o un militare congolese. Anche da noi ci sono ancora cadaveri in strada. La Croce rossa ha stimato tremila morti ma penso siano di più».
La parrocchia saveriana ha accolto gli sfollati che bussavano alla porta, in maggioranza donne e bambini. «Avevamo quasi mille persone da nutrire e dissetare, e nella scuola San Guido Maria Conforti c’erano 1664 persone che poi sono partite. Qui in parrocchia è rimasto chi è venuto da lontano e non sa dove andare». Acqua e cibo scarseggiano, c’è il rischio di epidemie, le donne subiscono violenze. Avvengono furti di automobili e assalti di negozi di informatica. «Tutto viene trasportato in Ruanda. Goma non ha confini naturali e i miliziani passano dalla frontiera visto che la controllano. Hanno distrutto tutto e la missione dell’Onu non ha potuto fare niente. Anch’essa ha morti e feriti».
Il conflitto vede altri attori oltre a quelli sul campo: «La comunità internazionale appoggia il Ruanda dando milioni come aiuto allo sviluppo. L’occidente si sente ancora colpevole del genocidio dei tutsi del 1994 perché non ha potuto impedirlo. Io dico che il senso di colpa sta incoraggiando un altro genocidio».
Laura Caffagnini
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